Visualizzazione post con etichetta USA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta USA. Mostra tutti i post

lunedì 17 marzo 2014

Lui, lei e l'altro: tre cose che dovreste sapere sull'Ucraina

In un interessante articolo pubblicato qualche giorno fa sul Washington Post, l'ex segretario di stato americano Henry Kissinger suggerisce di neutralizzare l'Ucraina, ipotizzando una relazione tra Kiev e Mosca simile a quella che la Finlandia intrattiene da anni con la Russia: dentro l'Unione Europea da un lato ma per nulla ostile al vicino russo dall'altro. Un'ipotesi interessante quella di Kissinger, anche se le dimensioni geografiche, demografiche ed energetiche di Kiev non sono comparabili con quelle di Helsinki.
E' però inutile negare che per storia, cultura e lingua l'Ucraina non può essere né europea né russa. L'errore di fondo fatto finora da tutti gli attori di questo potenziale conflitto è invece quello di aver pensato all'Ucraina come ad un feudo da annettere ora all'Europa ora alla Russia, senza comprendere che un simile atteggiamento non farebbe altro che balcanizzare il conflitto, aggravandone la situazione.
A partire da questo "peccato originale", che Bruxelles, Washington e il Cremlino si portano dietro, ci sono altri tre aspetti che vanno considerati nella questione ucraina.

1) LUI: ILLEGALITA' INTERNAZIONALE
Al di là del fatto che quanto avvenuto ieri, dal punto di vista internazionale, assomiglia all'Anschluss (l'annessione dell'Austria alla Germania nazista) del 1938 di hitleriana memoria, più che all'indipendenza del Kosovo dalla Serbia del 2008, la questione della legittimità del referendum non è la leva su cui possono fare forza i governi occidentali. Sotto il profilo della legalità internazionale, infatti, il governo attualmente in carica in Ucraina, e appoggiato da Europa e USA, ha ben poco di legittimo. Dalla presa del potere, alla destituzione forzata dell'ex presidente Viktor Yanukovic, fino alla nascita di un esecutivo dove i ministri di Difesa, Agricoltura, Risorse Naturali e il vice premier appartengo al partito filonazista Svoboda, il nuovo governo ucraino è - al pari dell'annessione della Crimea da parte della Russia - al limite della legalità internazionale.

2) LEI: GLI INTERESSI ECONOMICI EUROPEI
Mentre le cancellerie europee continuano a dichiarare illegale l'annessione della Crimea, questa crisi internazionale non sta alterando per nulla il business tra le economie occidentali e la Russia. E' notizia di oggi che i russi di Rosneft, il più grande colosso energetico al mondo, il cui 70% appartiene al governo di Mosca, sono entrati in Pirelli con il 13%. Così come non è un mistero che la commessa di due portaerei che la Francia sta per vendere alla Russia non verrà minimamente intaccata dalla crisi ucraina. Ed è sempre notizia di oggi che la tedesca RWE, la seconda utility della Germania, ha venduto una sua controllata fortemente indebitata al miliardario russo Mikhail Friedman per 5,1 miliardi di euro.

3) L'ALTRO: LA PARTITA RUSSIA-USA
Più che all'Europa, il potenziale conflitto sembra strettamente collegato alla politica estera americana in Iran e all'impossibilità degli USA di entrare in azione un anno fa in Siria. Non è un mistero che il veto di Putin ad attaccare il regime di Bashar al-Assad ha di fatto rallentato la marcia americana su Damasco, lasciando Obama con le mani legate in merito al conflitto siriano. C'è poi la questione del ritiro americano dall'Afghanistan. Washington non può inimicarsi Mosca perchè il territorio russo è strategico per la ritirata delle truppe americane dal paese centro asiatico. Per non parlare degli interessi economici che gli USA vantano in Russia. Un aspetto questo, per il quale non converrebbe nemmeno a Putin un surriscaldamento della situazione in Crimea. 

Farebbero bene a tener conto di tutti questi fattori le diplomazie di Russia (lui), Europa (lei) e USA (l'altro) prima di andare in giro per conferenze stampe a raccontare mezze verità. 

AV

domenica 19 maggio 2013

UE e U.S.A.: la grande partnership commerciale

Il più grande accordo mai realizzato dall’Unione europea con un altro paese


I negoziati inizieranno quest’estate in coincidenza con altri importanti appuntamenti della diplomazia internazionale ed europea come il G8 di Lough Erne, nell’Irlanda del Nord, e il Consiglio europeo di giugno.

L’obiettivo è quello di concludere i negoziati prima dell’ottobre 2014, ma gli esperti assicurano che l’accordo non entrerà in vigore prima del 2016. Data l’importanza di questa partnership, infatti, i governi europei e statunitense insieme ai principali gruppi di pressione internazionali potrebbero rimanere impegnati nelle trattative per i prossimi due anni.

l commercio tra Stati Uniti ed Europa rappresenta ad oggi un terzo di ... continua su glieuros.eu

domenica 18 novembre 2012

21/12/2012: la profezia dei Maya!

Una scena tratta dal film The Day after Tomorrow
Se i Maya avevano in mente una fine del mondo in senso stretto, forse si sbagliavano. Se invece, come molti credono, la fine del mondo che avevano in mente per il prossimo 21 dicembre è la fine di un ciclo, allora credo che la profezia sia prossima a realizzarsi. Certo, di cambiamenti in questi ultimi anni ne abbiamo visti parecchi: l'uccisione di Bin Laden, l'ascesa della Cina e di altre potenze globali, la crisi dell'euro, il primo afroamericano alla Casa Bianca, le primavere arabe, la caduta di regimi feroci come quello di Gheddafi. Cambiamenti importanti che fungono da preludio a quello che stiamo vivendo in queste settimane. Settimane decisive per gli equilibri mondiali che, come in uno shock che virtualmente si è dato appuntamento il 21 dicembre 2012, potranno rivelarsi determinanti per le sorti del mondo. Tre i fatti determinanti, a cui ne va aggiunto un quarto. 

1) Il "fiscal cliff" americano: se nei prossimi giorni non venisse approvato dal Congresso americano un provvedimento in grado di evitare il precipizio fiscale, l'economia americana rischia di piombare nel caos e di trascinare con sè l'intera economia mondiale. Il mancato rinnovo degli sgravi fiscali, promossi da Bush e poi proseguito anche con Obama, rischia di far schizzare il deficit americano alle stelle;

2) Le tensioni tra israeliani e palestinesi: lungo quasi un secolo, il conflitto che in questi giorni sta prendendo piede nella striscia di Gaza rischia di infiammare l'intera regione e di gettarla nel caos. Il tutto mentre la diplomazia americana non ha più un segretario di stato come la Clinton (che rimarrà in carica fino a gennaio) e il Pentagono risente del duro colpo subito con lo scandalo Petraeus;

3) La nuova Cina di Xi Jinping: con l'elezione del nuovo segretario del Partito Comunista cinese, Pechino si prepara ad affrontare le sfide di un paese che continua nella transizione verso lo sviluppo ormai non solo economico. Il miglioramento degli standard di vita della classe media e la lotta alla corruzione, che questo nuovo segretariato promette di riformare, renderanno la Cina un soggetto sempre più importante anche al di fuori degli scenari economici;

4) La crisi europea: anche se ormai da anni il vecchio continente sente pesare come un macigno sul proprio destino la stretta dei mercati, la ripresa della crisi è ancora lontana. Nei prossimi anni, infatti, l'Europa rischia di impoverirsi ancora di più e di dover rilanciare la propria crescita su nuove basi e su una maggiore integrazione.

Forse i Maya avevano ragione. Ma chi si aspetta terremoti e catastrofi naturali si rassegni.


AV

mercoledì 7 novembre 2012

Four more years.



"Four more years."

Certo rivedere Obama eletto, sentire il suo discorso sull'eguaglianza dei diritti, su quel paese che a sprazzi sembra avvilupato troppo su se stesso, ascoltare il suo "the best is yet to come", il meglio deve ancora venire. Beh tutto questo ha ancora il suo effetto. Così come vedere il tweet più retweettato di sempre, con l'immancabile Michelle. Nonostante la crisi, nonostante le tante promesse non mantenute, l'arte oratoria di Barack Obama riesce ancora a sedurre. Eppure, elettori democratici americani e cittadini europei a parte, l'elezione di Obama non è riuscita a sedurre i mercati internazionali, con le borse europee tutte in rosso e il Dow Jones che oggi ha chiuso a -2,13%. Ma non è tutto. Nella stessa giornata in cui il sogno americano da a sè stesso la sua seconda possibilità, in un "yes we can" atto secondo, le agenzie di rating alzano il cartellino rosso contro gli USA. Se infatti la spesa pubblica americana non verrà contenuta adeguatamente, la prima economia del mondo potrebbe subire lo storico declassamento da parte di Moody's e Fitch. A far scattare l'allarme, la possibilità di un mancato accordo tra repubblicani e democratici sul cosiddetto fiscal cliff, il pacchetto di sgravi fiscali messi a punto dall'amministrazione uscente per rilanciare l'economia del paese e le cui risorse scadranno il prossimo gennaio. Dove Obama troverà le risorse per rifinanziare un nuovo eventuale pacchetto di aiuti resta un mistero. D'altronde, l'economia (assieme alla politica estera) sono sempre stati il tallone d'Achille di Barack. Quel che è certo è che a poche ore dall'elezione del suo presidente, la finanza americana sembra battere cassa anche nei confronti della madre patria. E' il segno questo che ormai non si tratta più di finanza americana o inglese ma di una finanza globale con sede legale negli States o nella city londinese. Una finanza fluida e immateriale, ma soprattutto in grado di influenzare pesantemente le scelte del congresso americano così come quelle del parlamento britannico e in parte quelle di Bruxelles. Una finanza ormai a briglie sciolte e in grado di rovinare la festa del resuscitato sogno americano.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il secondo mandato di Obama non sarà affatto una passeggiata.

AV

sabato 31 dicembre 2011

Ma è così sporca la lobby?

Il Congresso americano a Washington
Ormai da qualche tempo la parola lobby è entrata di diritto a far parte del nostro vocabolario. Ma quanti sanno cosa significa questa parola di origine anglosassone vista spesso come qualcosa di sporco e negativo?
Il dibattito sull'etimologia del termine è molto acceso. C'è chi fa derivare il termine dal latino medioevale lobia ovvero loggia; altri la fanno risalire all'Alto-Tedesco lauba, che significava deposito di documenti; infine, in epoca più recente, il termine lobby è servito ad indicare l'anticamera del Parlamento inglese in cui i deputati d'oltre Manica ricevevano vari gruppi di pressione. E' quindi con quest'ultima accezione che il termine lobby è entrato a far parte del vocabolario comune. In realtà per lobby si intende qualsiasi gruppo organizzato in grado di esercitare pressione presso le istituzioni per la tutela dei propri interessi. Più propriamente si intende la pratica del lobbying come rappresentanza legittima dei propri interessi. Chiunque, insomma, può fare attività di lobbying, un'associazione, un'impresa o un ONG, purché rispetti la legge. Ecco un esempio per capire meglio cosa si intende per rappresentanza dei propri interessi. Se per assurdo, il Parlamento italiano stesse per varare una nuova legge che proibisce la vendita di cioccolata al fine di tutelare la salute dei bambini, le aziende che producono cioccolata si organizzerebbero per far sì che quel provvedimento non passi in Parlamento. Per farlo dovrà esercitare il proprio potere di persuasione, facendo pressione sul legislatore e convicendolo dell'inutilità di quella legge. In questo modo, l'impresa sta tutelando i propri interessi legittimi e cioè produrre cioccolata e non vedersi costretta a chiudere bottega. Il caso è estremo perchè ci sarebbero altri interessi in conflitto, quello della salute pubblica, per esempio, che formalmente ispira e legittima il provvedimento. Tuttavia, il caso è esemplificativo del fatto che chiunque abbia un interesse legittimo può rappresentarlo presso il legislatore. Fare lobbying significa quindi guidare le istituzioni pubbliche ad una migliore comprensione della realtà. Le aziende produttrici di cioccolata potrebbero convincere il legislatore del fatto che, se la legge che impedisce la produzione di cioccolata passasse, molte persone perderebbero il proprio posto di lavoro. Potrebbero persuadere i parlamentari che esistono prodotti più dannosi della cioccolata in grado di pregiudicare la salute dei bambini e così via. Il caso appena prospettato non costituisce reato, anche se presuppone una certa regolamentazione e trasparenza l'avvicinamento al legislatore da parte dell'azienda. Al Parlamento europeo, per esempio, esiste un registro di persone che fanno lobby per conto di aziende o associazioni e che possono chiedere un appuntamento con gli eurodeputati per esporgli la propria posizione su una legge nella più totale trasparenza. Lo stesso avviene nel mondo anglossassone, sia nel Congresso americano che nella Camera dei Comuni inglese. In Italia, purtroppo la professione del lobbista è poco nota e spesso ha assunto una connotazione negativa, dato che per lobbista si intende un affarista che tenta di aggirare la legge. Si pensi ai vari Bisignani o alle varie loggie P2 e P3 con comitati di persone che tutto vogliono tranne che motivare la legittimità dei propri interessi di fronte al legislatore.

Il lobbying non è quindi nulla di sporco. Presuppone però la maturità di un paese ad accogliere come legittimo il fatto che imprese, associazioni di categoria o qualsiasi gruppo in grado di organizzarsi possa convincere il legislatore della bontà delle proprie motivazioni in difesa di un loro interesse.
Per quanti volessero approfondire l'argomento, consiglio il libro di Fabio Bistoncini - tra i più affermati professionisti del lobbying in Italia - che con il suo Vent'anni da sporco lobbista ha descritto con impeccabile precisione cos'è la fantomatica lobby e quanto "sporco" sia il mestiere del lobbista.

AV

sabato 11 settembre 2010

11/9. Una data per dimenticare!

Ground Zero
Sono passati nove anni da quei tragici attentati, e come ogni anno assistiamo allo stesso spettacolo. A ridosso dell'11/9 cresce infatti l'impegno nel far crescere il livello di allerta e il rischio di attacchi terroristici. Tutti i ministri dell'interno dei paesi occidentali si accapigliano per emettere i consueti bollettini di guerra, avvertendo qua e là che la minaccia del terrorismo è reale e non è ancora terminata. Insomma, il messaggio è sempre lo stesso, forte e chiaro: la guerra al terrore non è finita. Al Qaeda c'è ancora e Bin Laden è sempre il nostro nemico numero uno. E così, quella che dovrebbe essere la giornata della memoria, l’11/9 del “Siamo tutti Americani”, si trasforma nell'ennesima giornata per riaffermare quelle guerre e rilanciare l’attacco. Lo scontro di civiltà. La lotta all’immigrazione clandestina perché esporta il terrorismo qui da noi. La logica amico-nemico. Gli argomenti e i pretesti sono infiniti pur di ribadire quel concetto.

Quest’anno l’attenzione dei media si è invece concentrata sulle follie del “reverendo” Terry Jones, pastore con la pistola che anziché studiare bene le scritture della sua religione (tutte ispirate all'amatevi gli un gli altri) pensa bene di bruciare le scritture altrui, inventandosi il "Burn a Quran Day" e allo stesso tempo tradendo il proprio credo. Fortunatamente una panzana. Una bravata. Una simpatica bravata che ha però distolto, anche quest’anno, l’attenzione sul grande interrogativo. Chi c’è dietro gli attentati dell’11 settembre? Decine di associazioni composte dai familiari delle vittime attendono da tempo risposta sugli infiniti enigmi che ruotano attorno all'11/9. Un’America stranamente vulnerabile che in un solo giorno permette ai simboli dell’economia e al santuario della difesa (il Pentagono) di essere distrutti con uno show che ha incollato tutto il mondo agli schermi. Nessuno si interroga. Nessuno chiede più spiegazioni. I circuiti internazionali mandano a ruota quelle immagini. La catastrofe. La tragedia.

E già! È molto più facile continuare ad impressionare con questo tipo di narrazione che mettere in scena gli infiniti interrogativi che circondano quella data e tutti i suoi vigliacchi complici. Da Bush jr al Mossad. Da Al Quaeda a Robert Gates. Dal petrolio alla sicurezza di Israele.

AV