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giovedì 1 maggio 2014

Reddito minimo. Ma è davvero una priorità?

E' normale che in una data come l'1 maggio si parli di lavoro come motore per la ripresa. Ma per parlare di lavoro bisogna che questo paese si responsabilizzi e riprenda fiducia in sé stesso lavorando, rimboccandosi le maniche e facendo camminare il cervello. 
I migliori fermenti per una ripresa a tutti i livelli sono le idee e per avere idee bisogna pensare, avere fantasia e soprattutto osare. Un paese che non ha idee è un paese che non ha futuro. Se l'idea più ingegnosa per far ripartire il paese sono 80 euro in busta paga o il reddito minimo garantito, in una gara a chi la spara più grossa tra Renzi, Grillo e Berlusconi in vista delle europee, allora non abbiamo imparato proprio nulla da 7 anni di crisi e recessione. 
La crisi andava vista come un'occasione per capire i nostri errori, dove abbiamo sbagliato, cosa va corretto. Ma a guardare l'attuale dibattito elettorale sembrano cambiati solo i protagonisti. Per il resto, chi governa o chi si candida a governare il paese, persevera con gli stessi atteggiamenti. E perseverare si sa, è diabolico! 

Ma parliamo di reddito minimo garantito, che è poi il motivo di questo post.  

Se passasse l'idea di istituire una prestazione sociale del genere - esistente in quasi tutti i paesi europei meno Italia e Grecia - purtroppo nella furba Italia, soprattutto centro-meridionale, sappiamo bene cosa succederebbe. Sarebbero molti ad approfittare dell'aiuto di stato pur non avendone diritto. Per non parlare degli effetti psicologici che avrebbe su una popolazione che vive di assistenzialismo: la gente smetterebbe di cercare lavoro e, quel che è peggio, smetterebbe di ingegnarsi per crearlo. Nel profondo e immaturo meridione d'Italia, dove vi sono diffuse situazioni di degrado, un aiuto del genere potrebbe risollevare gli animi e le speranze di molti ma non finirebbe di produrre quel circolo vizioso che oggi vede alcuni lavorare in nero metà dell'anno e nel frattempo ricevere ingiustamente il sussidio di disoccupazione. Sono situazioni molto diffuse nel meridione e, anche se in misura minore, nel resto d'Italia. Un paese dove lo stato viene visto più come un nemico da fottere che come un pezzo della nostra vita quotidiana. 
Prima di affrontare questioni come il reddito minimo garantito, bisogna infatti affrontare il tema del sommerso, del lavoro nero, dell'evasione fiscale e della lotta alla corruzione. E' impossibile continuare con un'Italia a doppia velocità in uno stato centralista come il nostro. Forse in un sistema federale avere un paese a doppia o tripla velocità non avrebbe gli stessi effetti, ma così com'è l'Italia (fiscale) non può permetterselo. Come dimostra un documento dell'Unità di Informazione Finanziaria del 2012 in Trentino ogni 100 Euro di imposta versata alle casse dello stato quelli evasi sono 20,31. Al sud si va dai 64,47 Euro del Molise ai 59,77 della Campania e ai 56,86 della Sicilia. Più del doppio. Statistiche che non fanno altro che evidenziare la forte distanza tra nord e sud Italia, che non ha paragoni in nessuna parte d'Europa. 

Prima di parlare di reddito minimo di cittadinanza bisogna quindi recuperare una parte del paese e riportarla alla legalità. Bisogna combattere la grossa evasione fiscale dei colletti bianchi e la fisiologica evasione fiscale del meridione d'Italia. Bisogna riportare alla luce del sole il lavoro in nero, incentivando la creazione di posti di lavoro e la nascita di aziende che siano in grado di produrre cose utili, di essere competitive e innovative sul mercato globale. Bisogna quindi promuovere la formazione - sulla quale si è lucrato attraverso una pioggia di fondi europei sprecati e senza alcun controllo - per avere profili di qualità al servizio delle nostre imprese e organizzazioni. Bisogna sviluppare un piano infrastrutturale e di manutenzione dell'esistente, soprattutto nel sud del paese. Infine, una volta che si saranno appianati i vari squilibri tra le due Italie, a quel punto sì che avrà senso parlare di reddito minimo garantito. 
Il paese va riunificato secondo una sensata autonomia regionale, priva di qualsiasi demagogia. Perché qui, o si fanno le riforme di cui sopra e nell'ordine appena elencato o - parafrasando una frase cara al nostro Risorgimento - si muore!

AV 

venerdì 16 novembre 2012

#Bechoosy

Care aziende e cari recruiter,

Noi siamo choosy. E lo siamo per scelta.
Ma questo non vuol dire che siamo schizzinosi, anzi: non abbiamo mai lesinato gli sforzi per racimolare qualche soldo durante i nostri studi, abbiamo servito ai tavoli dei ristoranti, spinto carrelli durante l'estate, fatto migliaia di telefonate nei call-center. E questo mentre studiavamo alle scuole superiori, e poi molti di noi proseguivano all'università specializzandosi in lettere, economia, filosofia, ingegneria, comunicazione, lingue e tante altre materie dai nomi altisonanti. Continua a leggere.

lunedì 5 dicembre 2011

Manovra Monti: rigore e lacrime


Crescita, rigore ed equità. Poca crescita, molto rigore e una sprizza di equità. Questo a mio avviso il giudizio che si potrebbe dare sui 20 miliardi netti della manovra Monti. Alcuni provvedimenti possono essere condivisibili altri meno, ma resta il fatto che questa dovrebbe essere almeno la prima puntata di una lunga serie di provvedimenti volti a ristabilire l'equità e a rimettere in moto l'economia di questo paese. Bene quindi una manovra di tagli alla spesa corrente perchè calma i mercati (lo spread è finalmente sceso a quota 375), salvaguarda l'euro (dato che il default dell'Italia farebbe saltare la moneta unica) e ci permette il pareggio di bilancio forse già per il 2012. Tappata l'enorme falla sarebbe però auspicabile rimettere in moto la nave e pensare un pò anche alla terza classe di questo Titanic chiamato Italia. Monti lo sa bene che una manovra come quella presentata oggi in Parlamento non serve a nulla senza misure in grado di coniugare sviluppo, sostenibilità, liberalizzazioni e la tanto famosa equità. Chiaro che la crisi la dovranno pagare tutti, ma lo dovranno fare sulla base della propria disponibilità economica e del proprio ruolo sociale, economico e produttivo. 
Duole, specie ai giovani, sentir parlare di tagli e razionalizzazione della spesa pensionistica, ma mi si permetta di spendere un enorme apprezzamento per le lacrime del ministro del welfare, Elsa Fornero, quando ha elencato le tristi misure o meglio i "sacrifici" in materia. "Sacrificio", una parola rimossa dal vocabolario negli anni del berlusconismo, dove chiunque è rimasto narcotizzato da una politica da mercante in fiera e fatta di proclami. Oggi, sorrisi e spettacolarizzazione sembrano ad un tratto aver ceduto il passo alla triste realtà, crudamente sbattuta in faccia. Il nostro paese spende più di quanto guadagna, mentre i soliti furbetti - politici in testa - continuano a fare i free rider. Vedere un ministro che dall'alto del suo scranno, visibilmente commossa, non riesce a pronunciare la parola "sacrificio" è un segno di cambiamento o comunque di un'inversione di tendenza. Monti è ancora in prova, ma lacrime, serietà ed empatia nei confronti di chi si vedrà andare in pensione più tardi e con meno soldi in tasca invitano ad essere un pò più fiduciosi nei confronti del futuro.

AV