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lunedì 28 luglio 2014

Cent'anni fa la Grande Guerra

Esattamente cento anni fa, il 28 luglio del 1914, con la dichiarazione di guerra dell'impero austro-ungarico al regno di Serbia, a seguito dell'omicidio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este, scoppiava il primo conflitto mondiale. Una guerra crudele che per quattro anni distrusse l'intera Europa, coinvolgendo le colonie dell'Impero britannico, gli Stati Uniti e il Giappone. Chiamata anche "grande guerra", la prima guerra mondiale fu, fino a quel momento storico, il più grande e sanguinoso conflitto mai combattuto. 
L'Italia, entrata in guerra soltanto un anno dopo (24 maggio 1915),  fu uno dei paesi (insieme a Francia, Germania ed Impero ottomano) a registrare il più alto numero di vittime, perdendo addirittura a fine conflitto il 3,48% della sua popolazione. Chi vi scrive, proprio sul Piave perse il proprio bisnonno, Giuseppe Castelli. Una persona che forse non avrei mai conosciuto ma che ha lasciato mia nonna orfana a nemmeno un anno di età, come lei spesso mi raccontava con gli occhi lucidi.
Nonostante, Marinetti e i futuristi parlassero della guerra come sola igiene del mondo, i conflitti sono portatori di enormi conseguenze. È infatti innegabile - come è solito ricordarci chi ci ha preceduto - che la guerra è soltanto miseria, sofferenza e povertà. 
E tuttavia, oggi, 28 luglio 2014, ad un secolo da quel conflitto e a 75 anni dalla seconda guerra mondiale, assistiamo alla barbarie della guerra e della miseria in più parti del mondo. Dal Medio Oriente, all'Ucraina i conflitti più stupidi e inutili continuano a divampare sulla cartina geografica, segno che la storia non ci ha insegnato davvero nulla. Prova ne è l'assenza di un doveroso ricordo sulla stampa internazionale di una data che nonostante la lontananza nel tempo costituisce pur sempre una grossa ferita nella storia dell'umanità. 

Per tutti quei morti in trincea nel lontano 1914/18, per tutti coloro che persero i propri cari e un pezzo della propria vita in quel terribile conflitto, e soprattutto per quanti oggi continuano a patire le sofferenze di guerre ingiuste, il mio ricordo e quello di questo blog. 

AV

giovedì 1 maggio 2014

Reddito minimo. Ma è davvero una priorità?

E' normale che in una data come l'1 maggio si parli di lavoro come motore per la ripresa. Ma per parlare di lavoro bisogna che questo paese si responsabilizzi e riprenda fiducia in sé stesso lavorando, rimboccandosi le maniche e facendo camminare il cervello. 
I migliori fermenti per una ripresa a tutti i livelli sono le idee e per avere idee bisogna pensare, avere fantasia e soprattutto osare. Un paese che non ha idee è un paese che non ha futuro. Se l'idea più ingegnosa per far ripartire il paese sono 80 euro in busta paga o il reddito minimo garantito, in una gara a chi la spara più grossa tra Renzi, Grillo e Berlusconi in vista delle europee, allora non abbiamo imparato proprio nulla da 7 anni di crisi e recessione. 
La crisi andava vista come un'occasione per capire i nostri errori, dove abbiamo sbagliato, cosa va corretto. Ma a guardare l'attuale dibattito elettorale sembrano cambiati solo i protagonisti. Per il resto, chi governa o chi si candida a governare il paese, persevera con gli stessi atteggiamenti. E perseverare si sa, è diabolico! 

Ma parliamo di reddito minimo garantito, che è poi il motivo di questo post.  

Se passasse l'idea di istituire una prestazione sociale del genere - esistente in quasi tutti i paesi europei meno Italia e Grecia - purtroppo nella furba Italia, soprattutto centro-meridionale, sappiamo bene cosa succederebbe. Sarebbero molti ad approfittare dell'aiuto di stato pur non avendone diritto. Per non parlare degli effetti psicologici che avrebbe su una popolazione che vive di assistenzialismo: la gente smetterebbe di cercare lavoro e, quel che è peggio, smetterebbe di ingegnarsi per crearlo. Nel profondo e immaturo meridione d'Italia, dove vi sono diffuse situazioni di degrado, un aiuto del genere potrebbe risollevare gli animi e le speranze di molti ma non finirebbe di produrre quel circolo vizioso che oggi vede alcuni lavorare in nero metà dell'anno e nel frattempo ricevere ingiustamente il sussidio di disoccupazione. Sono situazioni molto diffuse nel meridione e, anche se in misura minore, nel resto d'Italia. Un paese dove lo stato viene visto più come un nemico da fottere che come un pezzo della nostra vita quotidiana. 
Prima di affrontare questioni come il reddito minimo garantito, bisogna infatti affrontare il tema del sommerso, del lavoro nero, dell'evasione fiscale e della lotta alla corruzione. E' impossibile continuare con un'Italia a doppia velocità in uno stato centralista come il nostro. Forse in un sistema federale avere un paese a doppia o tripla velocità non avrebbe gli stessi effetti, ma così com'è l'Italia (fiscale) non può permetterselo. Come dimostra un documento dell'Unità di Informazione Finanziaria del 2012 in Trentino ogni 100 Euro di imposta versata alle casse dello stato quelli evasi sono 20,31. Al sud si va dai 64,47 Euro del Molise ai 59,77 della Campania e ai 56,86 della Sicilia. Più del doppio. Statistiche che non fanno altro che evidenziare la forte distanza tra nord e sud Italia, che non ha paragoni in nessuna parte d'Europa. 

Prima di parlare di reddito minimo di cittadinanza bisogna quindi recuperare una parte del paese e riportarla alla legalità. Bisogna combattere la grossa evasione fiscale dei colletti bianchi e la fisiologica evasione fiscale del meridione d'Italia. Bisogna riportare alla luce del sole il lavoro in nero, incentivando la creazione di posti di lavoro e la nascita di aziende che siano in grado di produrre cose utili, di essere competitive e innovative sul mercato globale. Bisogna quindi promuovere la formazione - sulla quale si è lucrato attraverso una pioggia di fondi europei sprecati e senza alcun controllo - per avere profili di qualità al servizio delle nostre imprese e organizzazioni. Bisogna sviluppare un piano infrastrutturale e di manutenzione dell'esistente, soprattutto nel sud del paese. Infine, una volta che si saranno appianati i vari squilibri tra le due Italie, a quel punto sì che avrà senso parlare di reddito minimo garantito. 
Il paese va riunificato secondo una sensata autonomia regionale, priva di qualsiasi demagogia. Perché qui, o si fanno le riforme di cui sopra e nell'ordine appena elencato o - parafrasando una frase cara al nostro Risorgimento - si muore!

AV 

martedì 28 maggio 2013

La politica degli scontrini fa flop!

Sui grandi temi economici e politici è sicuramente molto più facile la presa populista. Annunciare l'uscita dall'euro, il taglio dei finanziamenti ai partiti o la riduzione degli stipendi parlamentari può far gola ad un elettorato chiamato a decidere sul governo dell'intero paese. Ma sul governo delle città questo tipo di comunicazione non fa presa. Ecco perché per il Movimento 5 Stelle, senza una vera e propria emergenza in corso, era davvero difficile, se non impossibile, vincere le consultazioni
Il caso Pizzarotti a Parma è la prova di quanto appena detto. Laddove ci sono delle emergenze in corso il movimento di Grillo riesce infatti a stravincere, magari esasperando la descrizione di una realtà politica tutt'altro che onesta. Il risultato di ieri è invece la controprova che se le realtà locali richiedono semplicemente più contatto con il territorio, gestione immediata delle emergenze e risposte concrete, Grillo non vince. Dire che tutti hanno rubato non aiuta affatto ad amministrare un comune. Onestà e trasparenza sono sicuramente fattori importanti per gestire la cosa pubblica ma vanno tradotti in azione. Ecco perché i proclami populisti non hanno fatto presa sulle città chiamate al voto. Nemmeno sulla complicata Roma. 


Insomma, se non c'è un termovalorizzatore di mezzo, una TAV da distruggere, l'uscita dall'euro o una casta da bacchettare, Grillo perde. Se a questo ci aggiungiamo l'atteggiamento tenuto dal movimento dopo il voto di febbraio e durante l'elezione del capo dello stato, è comprensibile come i proclami di Grillo tali restano per gli elettori. Gli italiani sono davvero stanchi della politica cialtrona, sia di quella in stile ancien régime che di quella targata 2.0. Se i grillini non iniziano a negoziare e mettere in pratica quanto hanno detto di fare, il primo ragionamento dell'elettore italiano sarà: perché dovrei smettere di votare i vecchi politici se questi non fanno altro che parlare di scontrini? Come dargli torto.

AV

martedì 16 aprile 2013

Incapacità a 5 Stelle

Nel giorno in cui gli internauti del Movimento 5 Stelle rendono noto che il loro candidato alla Presidenza della Repubblica sia l'autorevole giornalista d'inchiesta Milena Gabanelli, rivolgo a queste poche righe il mio auspicio: spero che la chimera del M5S si esaurisca quanto prima. E non tanto perché sia in disaccordo con le idee o le proposte del Movimento di Grillo. Sono in totale accordo con molti dei loro punti programmatici. D'altronde, chi può dichiararsi contrario alla riduzione del numero dei parlamentari, a un'economia sostenibile che aiuti le PMI (che ad oggi contribuiscono ai 3/4 circa dell'occupazione europea), a un ringiovanimento della classe politica e dirigente italiana? Nessuno! Tuttavia, spero che il Movimento si eclissi proprio per la manifesta incapacità dimostrata nel realizzare queste proposte. Una cosa è la teoria, altra è la pratica. Che l'onorevole (o cittadina, se preferisce) Lombardi chieda consigli su Facebook su cosa fare perché le hanno rubato il portafogli e non può rendicontare le spese sostenute nell'ultimo mese è un momento da reality show. Come se con questo eccesso di trasparenza gli italiani ci mangiassero! Ma ce lo vedete un deputato americano a scrivere ste boiate sul profilo Facebook? O un deputato tedesco che twitta, "Oggi a pranzo ho preso un piatto da 15 Euro, mentre quello meno caro costava 13. Ma era carne e io non la mangio. Che faccio? #Trasparenza"? Vomitalo! Che vuoi fare? Se la politica si riduce a "Non è la Rai" con Gianni Boncompagni-Casaleggio che suggerisce alla Ambra di turno cosa dire allora possiamo chiudere bottega. La politica è rappresentazione e come tale si basa sul principio della delega. Una delega che non può essere discussa e ridiscussa ad ogni minimo accadimento, altrimenti il sistema si appesantisce e si blocca. Una trattativa tra il PD e il Movimento sarebbe stata auspicabile per sbloccare lo stallo istituzionale e invece i grillini hanno preferito la coerenza. Con la quale il Pil italiano raddoppierà, il debito pubblico si dimezzerà ed ogni italiano avrà uno stipendio degno di questo nome. 

Consiglio. Così come la vecchia classe dirigente - Bersani e Berlusconi in primis - farebbe bene ad andare in pensione, i grillini vadano a studiare un pò di politica, di diplomazia e di principii di negoziazione. Va bene generare il dibattito su temi importantissimi del nostro malsano paese, ma a furia di dibattere e dibattere si finisce col non fare un benemerito c@%&0!  


AV  

domenica 4 novembre 2012

Non poteva non sapere!

L'Italia è un paese dove domina sovrana una visione della politica che sembra più una partita di calcio. Un'arena dove il gusto di fottere la squadra avversaria trionfando agli occhi di tutti come il vincitore è più forte di ogni tentazione. Per carità, non che in politica non esistano vincitori e vinti. Il fatto è che per decretarli ci sono le elezioni, finite le quali gli eletti hanno il dovere di governare e di farlo bene. Nelle democrazie normali funziona così. In Italia, invece, i nostri politici credono di vivere in una perenne campagna elettorale, più impegnati in risse da pollaio che a governare. Nell'ultimo anno le cose sono andate un pò diversamente, e l'insofferenza della politica è lì dietro l'angolo. Dover stare meno negli studi televisivi e più nelle commissioni parlamentari, parlare meno e fare di più: che tortura! Quello che non hanno capito è che l'ultimo anno trascorso è solo l'antipasto della buona politica. E negli ultimi 20 anni di buona politica nemmeno a parlarne! Abbiamo un debito pubblico malato di elefantiasi, servizi pubblici scadenti, siamo fanalino di coda rispetto al resto delle economie avanzate: basti pensare a Piazza Affari la cui performance è scesa dal nono al ventesimo posto nel giro di 10 anni (anche Madrid ha fatto meglio). La cosa ancor più triste è che, dopo tutti i soldi spesi per mantenerli, per fare quattro riforme alla sbrigativa i nostri politici hanno addirittura dovuto chiamare dei tecnici. Manca poco che anche la legge elettorale la faccia il governo per decreto per incapacità nel mettersi d'accordo. E così, il vero spreco è aver pagato della cattiva politica così profumatamente, e quel che peggio con i nostri soldi. Quei soldi che sono ormai l'unica ragion d'essere di ogni politico, dal consigliere provinciale a quello regionale, passando per gli scranni più alti. Soldi e potere che hanno fatto entrare nelle stanze del palazzo gente priva di ogni onore: altro che "onorevoli"! Certo, non siamo tutti uguali. Fare di tutta l'erba un fascio è un reato. Ma come ci insegna il padre politico di questa Italia, Giulio Andreotti, "a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca". 

E così, quando scopriamo che anche le verginelle della poltica hanno preso a piene mani soldi destinati alla vita pubblica (che poi quanto cacchio ci deve costare sta vita pubblica di scarsissima qualità) viene proprio la tentazione di fare di tutta l'erba un fascio. Ho votato Di Pietro e ho militato in quel partito con una tessera che ho tenuto per un solo anno (per fortuna, mi sento di dire adesso). Scoprire che nessuno è immune da quel vecchio verme italiano chiamato inciucio, casta, corruzione o più comunemente mancanza di rispetto per gli altri, fa pensare che non basterà una terza repubblica o un Monti bis per estirpare il grande cancro di questo paese. Non poteva non sapere, tuonava Tonino in toga contro Bettino Craxi durante gli anni di mani pulite. Così come, sempre in quegli anni, fuori dall'hotel Raphael il giovane Franco Fiorito - detto "er Batman" - tirava le monetine contro Craxi.  

Giovani rampanti e pieni di ideali. Oggi, maturi ed esperti, ... non potevano non sapere!

AV

mercoledì 26 settembre 2012

Egoísmos de Europa

Mientras Europa entera está en plena crisis - y no es solo crisis financiera sino crisis para todo el sistema de la UE - lo que el viejo continente no necesita es lo que está pasando en esta última época en países como España o Italia. Los últimos de la clase en Europa tienen en efecto una degeneración de sus líderes políticos que intentan seguir como antes en frente de una crisis histórica que pide objetivamente un cambio de ruta. Un cambio con respecto al pasado: un pasado de gastos y ... sigue leyendo en #USofEurope

sabato 19 novembre 2011

Super Mario Monti

Il governo Monti durante il giuramento al Quirinale
Già battezzato sia alla Camera che al Senato, il nuovo governo è da oggi al lavoro. Quello che adesso i cittadini italiani si chiedono però è se veramente il professor Mario Monti riuscirà a governare questo paese e ad attuare le riforme necessarie ad evitare il default dell'Italia. Una domanda importante, ma la cui risposta non può che venire dal Parlamento. Sì, perchè nonostante la testa del nostro corpo istituzionale stia regalando un'ottima performance (Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio, Monti e Napolitano per intenderci), l'approvazione delle leggi è ancora affidata al Parlamento. Lo stesso Parlamento che votò a maggioranza la tesi per cui Ruby Rubacuori era la nipote di Mubarak. Lo stesso Parlamento ridotto sempre più spesso ad una latrina di urla e insulti. Proprio quel Parlamento che dovrebbe votare abolizione dei cosiddetti privilegi della casta, il taglio delle provincie, una buona legge sul conflitto di interessi, una tassa sui grossi patrimoni, la liberalizzazione di servizi e professioni, l'eliminazione di corporazioni, insomma tutto quello che servirebbe ad ammodernare l'Italia. Ce la farà proprio QUESTO Parlamento? Domanda troppo ardua. Allo stato attuale, c'è un problema di classe dirigente e politica enorme, e l'avvento di Super Mario non lo risolverà di certo. Si può andare avanti a colpi di decreti legge, decreti ministeriali o decreti legislativi? Difficile dirlo, senza una maggioranza convinta su cosa votare. Inoltre sarebbe come spogliare il Parlamento e metterlo là a fare la bella statuina. E allora? Cosa c'è di nuovo sotto il sole? Nulla o quasi. L'unica vera novità su cui possiamo contare, dati alla mano, è che non abbiamo più un governo di nani e ballerine contornato dal folklore eccentrico di fantomatici padani. Abbiamo finalmente un governo serio e degno di questo paese. Si soprendono tutti a vedere i neoministri zelanti e silenziosi, inadatti a fare smorfie o proclami da piazza. Non eravamo abituati da troppo tempo a personalità del genere. Ci sentiamo un pò come su Marte? Siamo davvero degni di un governo così? Stiamo sognando? No signori è la realtà. Nei paesi seri, i governi sono proprio così!   

AV

lunedì 11 luglio 2011

E' ufficiale: siamo sotto attacco!

I ministri delle Finanze di Italia, Spagna e Germania alla riunione dell'Eurogruppo di oggi a Bruxelles.
















"La forza militare non conta piú. Hedge fund ed agenzie di rating prendono il posto di panzer e baionette. A determinare ascesa e caduta di uno stato è la salute dei suoi conti". 

Queste parole sono state scritte poco più di un anno fa in un post da me pubblicato in occasione della crisi del debito greco (leggi il post). Oggi che la speculazione dei mercati finanziari sta colpendo Italia e Spagna quelle parole sembrano risaltare con ancora più forza agli occhi di chi le legge. La parola attacco, mutuata dal linguaggio bellico, domina ormai la realtà dei mercati. Un campo di battaglia nel quale si delinea in maniera netta la possibile ascesa e caduta di uno stato o di un sistema di stati come l'Unione Europea. 

Con l'entrata nel mirino delle famose agenzie di rating di stati come Italia e Spagna (la terza e la quarta rispettivamente economia dell'eurozona) ci troviamo di fronte ad un gioco - quello della speculazione - potenzialmente in grado di far saltare la moneta unica e quindi di destabilizzare l'intera economia continentale, se non mondiale. I gravissimi rischi che corriamo in queste ore non sono infatti legati al semplice ribasso dei nostri titoli di stato, il cui spread rispetto ai Bund tedeschi ha toccato oggi i 280 punti per l'Italia e i 300 per la Spagna. I gravi rischi su cui tutti devono interrogarsi riguardano anzitutto la possibilità che il default  del nostro paese o dei cugini iberici possa tirarsi dietro l'intero continente e quindi decenni di integrazione economica e monetaria. Infatti, se questa macelleria finanziaria dovesse continuare l'euro potrebbe essere davvero a rischio. Di fronte a tutto ciò e al di là degli errori commessi dalle pigre economie dell'Europa mediterranea, in grado di generare solo spesa pubblica, crescita bassa ed elevati tassi di corruzione, l'Europa non può assolutamente permettersi di perdere la moneta unica. 

Sappiamo bene che è necessario un mea culpa. Che i fautori di questo stato di cose sono sistemi sociali e politici molto diversi dai virtuosi stati del nord Europa. Tuttavia, permettere che il fianco scoperto del debito pubblico possa lasciar gioco facile a chi semplicemente alzando una cornetta fa andare giù a picco interi mercati è davvero troppo. Soltanto oggi, Milano ha perso quasi il 4%, e questo nonostante le dichiarazioni rassicuranti fatte oggi dalla cancelliera Angela Merkel sulla nostra manovra finanziaria, in discussione in questi giorni in Parlamento. 

Ora, al di là dei festeggiamenti di rito, nei 150 anni di questa nazione il vero regalo sarebbe poche parole e molti fatti. Il silenzio di questi giorni del nostro premier sembra andare nella giusta direzione. Vediamo quanto dura. 

AV

mercoledì 25 agosto 2010

Un'estate italiana

Fini, Berlusconi e Casini durante un comizio elettorale

Non dimenticherò mai l'estate 2010. La prima estate dopo la laurea. La prima estate trascorsa completamente all'estero. La mia prima estate a Londra. La prima da precario stagista. La prima in cui la politica italiana non è affatto andata in vacanza, e questo non per lavorare in Parlamento ma per rendersi ridicola fino all'inverosimile. Da maggio, infatti, dopo il caso Scajola, è stato un crescendo di nefandezze. Le peggiori che io ricordi. Il dibattito politico si è arenato e visto l'autunno caldo che ci aspetta, con il debito pubblico alle stelle e molti comuni prossimi alla bancarotta, non credo fosse proprio il caso.

Intanto, da quando i signori in doppio petto hanno smesso di lavorare, hanno pensato bene di riaprire le segrete del castello. Tuttavia, non gli è venuto difficile riesumare dai meandri delle caverne alcuni classici della politica all'italiana. Insulti. Accuse. Inchieste. Illazioni. Denunce. Espulsioni. Ricatti. Minacce. Diti medi. Culi a tarallo. Elezioni anticipate. Governi tecnici. Assieme agli immancabili "si salvi chi può" ed "alleamose che è mejo". Qualcuno la chiamerebbe "sputtanopoli". Altri, repubblica delle banane. Io, in tutta onestà, senza girarci tanto sopra, la chiamo repubblica italiana (prima, seconda o terza fa poca differenza). Tuttavia, i cimeli della cripta hanno trovato la loro collocazione in pubblico sotto etichette più diplomatiche ed affidabili. Governi di responsabilità nazionale. Lealtà con gli elettori. Inchieste editoriali. Attacco alle istituzioni. Bla, bla, bla.

In questa inedita estate 2010 è stato anche riesumato uno tra i tesori più preziosi del castello della repubblica italiana. A mio avviso, si tratta del più caratteristico, e non ha etichette che tengano: è il trasformismo. Basta mettere su un partito facendo ammenda e studiando alla meno peggio da chi ha condotto battaglie giornalistiche e politiche serie contro il sistema poco trasparente cui si apparteneva. Non basta cambiare etichetta, farsi una fondazione e mettere un esperto dell'antimafia per redimersi da un peccato lungo solo sedici anni. 

E intanto, i fumi maleodoranti che provengono dalla botola del vecchio castello sono venuti su. Letali. Velenosi. Talmente velenosi che pare abbiano raggiunto il picconatore a metà agosto. Nemmeno lui, custode delle tante ampolle soporifere del castello repubblicano, è riuscito a sopportarli. D'altronde, bisogna godere di ottima salute per sopravvivere a certe cose.

AV

venerdì 30 luglio 2010

Bocchino, Granata, Fini e la cacciata




"Se no che fai? Mi cacci?" chiedeva Gianfranco a primavera inoltrata. La risposta arriverà solo a fine luglio, alla fine di una calda estate politica. Raccolta la provocazione ecco la cacciata. D'altronde, Gianfranco non ha mai perso occasione per parlar male della divinitá del centro-destra. Durante un premio dedicato a Paolo Borsellino, fu addirittura sorpreso a bisbigliare ad un magistrato che Silvio confondeva la leadership con la monarchia assoluta. Era novembre del 2009. Da allora in poi si doveva cercare una strategia, un modo per defenestrare lo scomodo parruccone ed eterno numero due. Nessun divorzio consensuale ma un atto politico unilaterale. Dopo la scenata di fronte alle telecamere, Silvio mette le valigie di Gianfranco fuori dalla porta. Lo ha mal sopportato, lo ha odiato. Proprio lui che ha fondato il partito dell'amore. pare abbia detto "non voglio piú sentir parlare di lui". Ma si sa lui è capriccioso come i bimbi, come un Luigi XIV che si sollazza tra cortigiane e lacché, dal Brasile a Villa Certosa.

Che giornata, il 29 luglio! Lui che delle regole se ne è sempre fregato consuma l'atto finale della vicenda nella cornice delle regole di partito, deferendo ai probi viri i sanculotti Bocchino, Granata e Bricolo. Sembrava una categoria tanto invisa al Cavaliere quella del giustizialismo ed invece ecco spuntare i togati di partito. Con Vittorio Mathieu – da non confondere con l’attore comico Walter Matthau – uomo sospettato di avere legami con la massoneriara, che in qualità di membro del collegio dei probi viri del Pdl si appresterà a giudicare i tre malcapitati. Ne viene fuori che chi pone la questione della legalitá é fuori dai giochi. Che i potenziali disonesti – Verdini, Caliendo e Cosentino – restano dentro ai giochi, mentre il ruolo dell’arbitro viene affidato ad un signore come Mathieu. Sembra la metafora di quello che accade nella nostra societá. Il furbo la fa franca.

I tre vengono cacciati perché hanno espresso posizioni incompatibili con quelle del partito. "Quali?", chiede Bianca Berlinguer a Maurizio Gasparri a Linea Notte. "Per esempio sull’immigrazione", risponde lui in quella che sembra un’imitazione dell’imitazione di Neri Marcoré. Bene. Ne prendiamo atto. Fini&co vanno cacciati perché hanno dissentito anzitutto sulle posizioni della maggioranza in tema di immigrazione. Nessun accenno sul fatto che da mesi parlassero di fare un pó di pulizia nella casetta delle libertà.

Ed ecco l'epilogo. I partiti personalizzati, i vertici politici ad Arcore, i Topolanek e i Blair in visita in Sardegna, Palazzo Grazioli trasformato in Palazzo Chigi. I soldi, il potere, il dominio dei mezzi di informazione, il patto col diavolo e il linguaggio di Pubblitalia in politica. Un cocktail che ci ha spiazzato tutti, probi e non. Tutti noi sapevamo che il dopo Berlusconi sarebbe stato lungo e travagliato. Quella di ieri é solo la prima puntata di una lunga stagione. Molti parlano dell’alba di una Terza Repubblica, altri di un’Italia nuova. Ma il restyling di un prodotto, che in fondo è rimasto lo stesso, é solo una strategia da supermercato. Per governare un paese ci vuole ben altro.

AV

martedì 11 maggio 2010

La crisi greca: speculazione, ottimismo e conflitti d’interesse

Mi chiedo se i 750 miliardi "salva euro" di BCE ed FMI dello scorso maggio siano serviti a salvare il vecchio continente dal baratro.
Nel 2008, all’indomani della crisi dei mutui americani, si parlava di qualcosa di simile alla crisi del ‘29. Da un lato si annunciava la morte del capitalismo, mentre dall'altro c'era chi confidava ancora nella tenuta del sistema. La crisi si vince con l'ottimismo, il sistema reggerà, ci siamo sentiti ripetere per mesi da un Silvio Berlusconi, che ha fatto della parola ottimismo la sua ricetta anticrisi. Oggi sappiamo - spesso sulla nostra pelle - che parole come ottimismo o amore non ci danno un nuovo posto di lavoro né ci permettono di portare il pane a casa. Sono trascorsi due anni e ancora attendiamo la ripresa. Vertici internazionali, dichiarazioni, ma anche molta improvvisazione, poca Europa e un’America sull’orlo del baratro, con la Cina che si prepara a tenere le redini dell'economia mondiale. Mi ricordo che sin dall'inizio della crisi ci veniva raccontato che questa si sarebbe presto trasferita dalle banche all’economia reale, che i consumi privati sarebbero calati e che ci sarebbe stato il taglio di qualche posto di lavoro. Poi tutto come prima.
Nessun Keynes contemporaneo ha voluto invece richiamare alla pubblica attenzione la presenza di una fase intermedia: la crisi della finanza statale. Presto, la Grecia diventa l’agnello sacrificale. Nessuno ce l’aveva mai detto, nessuno ci aveva avvertito. Cosí come, prima del 2008, nessuno aveva lanciato l’allarme su quei mutui. Pronto, dietro l'angolo, si aggira lo spettro della speculazione finanziaria. Obbiettivo: attaccare la finanza pubblica, nervo scoperto di molti stati europei. Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia e Grecia finiscono nel mirino.

La forza militare non conta piú. Hedge fund ed agenzie di rating prendono il posto di panzer e baionette. A determinare ascesa e caduta di uno stato è dunque la salute dei suoi conti. Agenzie come Standard&Poor’s che, nonostante i clamorosi errori di valutazione nei confronti di Parmalat e Lehman Brothers alla vigilia del loro colossale crack, riesce ancora ad ottenere credibilitá internazionale. Una credibilitá che le permette di giudicare il debito pubblico di Atene come “junk”, spazzatura, facendo cosí piombare i mercati nel panico. Generando episodi di distruzione e morte, di guerriglia urbana. La scorsa primavera, sono in tre a morire soffocati all’interno di una banca a causa di un incendio provocato da alcuni manifestanti ad Atene. Per non parlare di Moody’s, altra agenzia di rating, che nello stesso periodo ha messo sotto accusa i conti pubblici di altri paesi europei, Italia inclusa. Una valutazione, quella di Moody’s che costerá alle borse del continente ben 183 miliardi di euro di capitalizzazione in un solo giorno. Si tratta di veri e propri attacchi da parte di soggetti in conflitto d’interesse, visto che nel capitale di molte agenzie di rating figurano quotazioni in aziende i cui utili dipendono dalle loro valutazioni di mercato.
E sono proprio i conflitti di interesse che stanno affossando gli equilibri di stati, regioni, forse dell'intero sistema internazionale. Pensiamo all'Italia e a dove ci ha portato il problema dei numerosi conflitti di interessi.

Insomma tra personaggi politici ed agenzie di rating, siamo messi molto male. Adesso, attendiamo ottobre ed una nuova puntata della crisi economica.

AV

domenica 14 febbraio 2010

Dalla Stampa alla Giustizia: l'erosione dei poteri


La politica italiana è uno degli aspetti della vita della nostra penisola che riceve maggiore attenzione da parte della stampa. Tuttavia, nonostante questo enorme interesse non vi è alcun modo di trasformare la funzione della stampa in una funzione di controllo, come avviene nei paesi anglosassoni. Gap culturale? Non direi. In qualsivoglia democrazia la funzione sacrosanta della stampa è quella di mettere il becco nell’operato degli amministratori, cui i cittadini hanno dato mandato al fine di essere ben governati. Si tratta di una funzione che dovrebbe fare pressione sulla politica affinché questa faccia il proprio dovere. Un controllo di tipo non istituzionale. Purtroppo, questo profilo da quarto potere la stampa italiana non è riuscita mai ad averlo. Questo perché è rimasta ancorata ad una logica di prostituzione e di profondo e indissolubile legame con il mondo della politica. Chi sta con lo zoppo presto impara a zoppicare e non è quindi un caso se molti dal mondo dell'informazione migrano per qualche legislatura, se non per la loro intera esistenza, verso un ramo del parlamento. In realtà è una forma di autosostentamento, un modo per rimanere all'interno di un vecchio sistema che nasce a Roma, cresce a Milano e viene digerito nel meridione. Una transumanza che non ha colore politico né una connotazione episodica. D'altronde, una stampa che vive di denaro pubblico non può che essere asservita al suo padrone. Paradossalmente, in Italia i soldi pubblici - che per loro natura non dovrebbero avere una connotazione di natura patrimoniale - servono sempre per fare interessi privati. Come? Nel caso della stampa non raccontando i fatti più vergognosi correlati all'operato amministrativo del mondo politico. Il risultato è che la stampa finisce per raccontarci soltanto la superficie dei fatti, mai la polpa. Formalmente si deve dare l'idea di una buona stampa, che informa anche quando il capo commette dei reati. Se Berlusconi è inquisito o D'Alema ha commesso un illecito la stampa italiana lo racconta. Tuttavia, lo fa in versione limitata. Gli dedica qualche riga, un trafiletto, una fotonotizia, senza mai andare oltre. Ciò ha permesso che in questi anni la stampa si trasformasse da cane da guardia della politica in cane da salotto, ovvero in un animale domestico ad uso e consumo dei palazzi di governo. Vedere i vari Minzolini dell’ informazione commentare i fatti senza se e senza ma, incensando ad nauseam sull’altare della legittimazione elettorale il leader maximo, è qualcosa di indigeribile per chiunque abbia il vizietto di volere una narrazione dei fatti lucida ed imparziale. Ed è così che la stampa italiana ha finito per informare sui personaggi politici italiani come se questi fossero delle perfette statue greche, senza macchia e senza peccato.

Il problema adesso è che nell'Italia della stampa a senso unico si stia cercando di fare un'altra operazione. Si vuole asservire al mondo politico l'unico potere parzialmente indipendente del nostro paese: la giustizia. Una giustizia che purtroppo parte da una posizione svantaggiata: la sua imperfezione. Congenita, in senso universale, e specifica, se rapportata al nostro paese. E’ noto che la giustizia italiana è una giustizia lenta. Una giustizia a tratti politicizzata. Una giustizia che non dà risposte certe ai cittadini. Una giustizia spesso imparziale. Ma è pur sempre giustizia! Se è lenta, si chiedano e si esercitino più pressioni per avere maggiori risorse. Se ha legami con la politica, abbia il coraggio di sganciarsi da questo giogo e da questi rapporti ricchi di chiaroscuri. Vanno limate le falle del sistema giustizia da subito. Se non lo si farà, l'apparato giudiziario del nostro paese rischia di diventare una vecchia roccaforte medievale ormai diroccata e quindi facile preda dei saccheggiatori. Insomma, rischiamo che la giustizia faccia la fine che ha fatto la stampa e l’informazione in generale in questi anni, diventando pressoché inesistente in un paese come il nostro: caotico, ricco di infinite collusioni e di conflitti d’interesse. 

AV