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giovedì 3 gennaio 2013

L'araba fenice: è l'ora del PD?

A poco più di un mese dal voto si delineano, anche se con enorme ritardo, i profili dei partiti e delle coalizioni che si presenteranno alle elezioni.

L'ARABA FENICE

Centro-sinistra (PD + SEL + Socialisti). Candidato premier: Pier Luigi Bersani.

Dopo le deludenti performance del Partito Democratico durante gli anni del governo Berlusconi, Pierluigi Bersani è stato in grado di far risorgere il partito dalle ceneri, riconquistando poco a poco la fiducia degli elettori. Una rimonta sicuramente aiutata dallo spirito di lealtà e responsabilità dimostrato durante l'esperienza del governo Monti, ma anche dagli errori del passato. 
In una fase difficile per l'Italia, caratterizzata da crisi economica, antipolitica e governi tecnici, Bersani ha dimostrato grande tenacia nel tenere assieme il PD, che molti davano per spacciato, costruendo un'immagine di sè responsabile e e in grado di unire.
Fondamentale il passaggio dalle primarie e lo scontro con Renzi, prova questa di un costruttivo spirito di dialettica interna, che ha definitivamente scongiurato l'idea di un PD litigioso e pronto a spaccarsi. Sapendo coniugare le varie anime del partito, Bersani ha inoltre dimostrato credibilità di fronte al suo elettorato, ispirando quindi fiducia come possibile leader. Strategica la scelta di isolare Di Pietro, tenendo invece con sè Nichi Vendola. Buono anche lo smarcamento da una possibile alleanza con i centristi di Casini, il cui risultato sarebbe stato una perdita di identità e soprattutto di voti.
Uno dei nodi più insidiosi è però la scarsa argomentazione e forse poca chiarezza su alcuni temi fondamentali come: riforma del lavoro, liberalizzazioni e diritti civili. Altra insidia prima del voto è anche quella di saper effettivamente amalgamare le anime più radicali della coalizione alla Vendola e Fassina con quelle più centriste e moderate come Enrico Letta. Qualche dichiarazione fuori posto dei primi due potrebbe infatti insidiare l'unità del gruppo e rievocare l'incubo Unione del 2006. Per evitare questi rischi sono necessari un programma forte e chiaro, un leader deciso e una vittoria certa sia alla Camera che al Senato.
Ottimo il presidio costruito nel corso degli anni sui social network (notevole il canale YouTube) così come lo slogan "L'Italia Giusta", con una bella foto del candidato premier che appare molto più deciso e sicuro rispetto ai manifesti in bianco e nero e maniche di camicia di due anni fa, sicuramente più adatte a un cimitero (vedi il confronto sotto). La presenza sui mezzi di comunicazione tradizionali è un pò scarsa, anche se, per non bruciare troppi colpi a più di un mese dal voto, le media relations del candidato premier potrebbero riservare qualche sorpresa nelle battute finali.
Geniale l'invito a pranzo a Renzi (era ora!). Il gesto interpreta lo spirito di cambiamento chiesto da molti nel corso delle primarie, in grado di soddisfare l'anima giovane dei democratici. Un pò come Barack Obama ed Hillary Clinton nel 2008, seppellite le asce di guerra, i due uomini delle primarie si rimettono assieme per vincere ed insidiare il terreno elettorale moderato. Ottima la scelta di tenere lontano dai riflettori i vecchi e ingombranti uomini di partito che hanno invece fatto perdere consensi e credibilità al PD. Sempre ottima la scelta di candidare Piero Grasso, che diventa simbolo di legalità e antimafia, anche se non intaccherà più di tanto il parco voti di Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia. 
Consiglio: dare più l'idea di essere un movimento, oltre che una forza politica istituzionale e seria, creando eventi all'aperto e in grado di abbracciare la società civile. Attenzione infine a gestire il listino e ai nomi che ci finiranno dentro. L'insidia dei dinosauri di partito è sempre dietro l'angolo e in grado di minare il buon risultato ottenuto finora. Proprio da quei dinosauri sono venuti fuori i guai giudiziari di Lusi, Penati e Tedesco. 

Intenzioni di voto

Partito Democratico 33%
Sinistra Ecologia e Libertà: 6%
Altri di centro-sinistra: 3%

Totale coalizione: 42%

Fonte: Istituto Piepoli 

Link


Confronto tra un manifesto PD del 2011 e l'attuale manifesto per le elezioni 2013
AV

domenica 16 dicembre 2012

L'abbraccio mortale a Mario Monti

Ormai è chiaro che la proposta di Berlusconi a Mario Monti, di guidare tutto il rassemblement dei moderati, è una polpetta avvelenata servita al premier uscente. Se il professore infatti decidesse di accettare questo ruolo non farebbe altro che ricevere il marchio e la benedizione di colui che la comunità internazionale ha ormai bollato come inaffidabile. Quella stessa comunità internazionale che ha già esternato il proprio endorsement nei confronti di Monti e di quest'anno di governo. 
E' inoltre ridicolo che chi la scorsa settimana ha di fatto sfiduciato politicamente questo governo in parlamento, oggi proponga una riedizione dello stesso. Delle due l'una: o questa esperienza di governo è piaciuta oppure no. Nessuno è stupido, e sappiamo bene che l'ennesima giravolta di Silvio Berlusconi e del Pdl è il frutto della figuraccia rimediata dall'ex premier lo scorso 13 novembre al vertice del PPE. Con l'invito a sorpresa di Mario Monti, Silvio Berlusconi, uno dei leader più di lungo corso nella storia dei popolari europei, è stato di fatto sfiduciato dal gotha del partito. Uno schiaffo. L'ennesimo dopo quello del 16 novembre 2011, e che ha costretto Berlusconi a una nuova trovata politica in vista delle imminenti elezioni. 


A questo punto, possiamo attenderci davvero di tutto. Dispiace soltanto che Mario Monti si trovi costretto a entrare nell'agone politico, abbandonando quasi del tutto la sua istituzionalità super partes. A mio avviso, l'unica soluzione politicamente possibile dopo le prossime elezioni è un governo di centro-sinistra guidato da Bersani e allargato all'area filomontiana, con il professore al Quirinale. Berlusconi e i populisti lasciamoli pure a casa. 

AV

giovedì 13 dicembre 2012

Ok a Monti premier. Ma i consensi?


Sicuramente, la strada tracciata da Mario Monti per il risanamento economico e culturale del paese è una strada irreversibile. Una strada dalla quale difficilmente, qualsiasi governo di qualsiasi colore potrà discostarsi. E le parole di oggi pronunciate da Pierluigi Bersani (unico candidato premier al momento) non fanno altro che avallare questo concetto. Insomma, che Mario Monti e il suo operato siano una risorsa per il paese, ça va sans dire. Il problema al momento pare essere un altro. La candidatura di Monti a presidente del consiglio senza un consenso tale da permettergli di tornare nuovamente a Palazzo Chigi.  Per intenderci: se è vero che al momento la candidatura di Monti è auspicata da mezza Europa, così come dai mercati finanziari e dagli stessi USA, è anche vero che al momento le forze politiche che sosterrebbero Monti non riescono a superare il 10%. Fini, Casini, Montezemolo, e ci metto pure Oscar Giannino, non hanno infatti una proposta sufficiente a contrastare la coalizione di centro-sinistra di Bersani che oggi punta al 40%. Anche se i sondaggi darebbero Monti premier al 45%, i partiti che appoggerebbero la sua candidatura viaggiano su una soglia molto più bassa. E allora? E' sufficiente il solo endorsement esterno, sia che venga dal PPE o dalla Germania? Evidentemente no. 

Queste elezioni saranno quelle dall'esito più imprevisto nella storia della seconda repubblica. Con uno spacchettamento dei vecchi partiti e nessun candidato premier se non Bersani, le macerie del ventennio si faranno sentire ancora per molto. Certo la famosa agenda Monti (incompiuta per moltissimi aspetti) può essere un punto di forza per il ritorno di Monti a Palazzo Chigi ma non può essere l'unico fattore distintivo. Ci vuole il consenso. E il consenso in democrazia passa per le urne.
Bisogna quindi attrezzarsi per trovare una proposta in grado di tradurre in consenso parlamentare quel 45% di votanti che vorrebbero il ritorno di Monti alla premiership. Due mesi alle elezioni e ancora nessuno si è attrezzato.    

AV

domenica 9 dicembre 2012

La candidatura di Berlusconi è la metafora del conservatorismo italiano

Un manifesto elettorale di Silvio Berlusconi datato 1994
Un anno fa, poco dopo l'insediamento del governo Monti, mi chiedevo se Berlusconi non stesse preparando la sua Salò . Alla luce di quanto accaduto nei giorni scorsi, mai interrogativo fu più azzeccato. In questo lungo anno di assenza, il silenzio di Berlusconi non era affatto un'uscita di scena. Del resto, il cavaliere non l'ha mai annunciata. Molti commentatori internazionali l'avrebbero data per scontata. Non è che quando un primo ministro di qualsiasi paese europeo esce di scena poi rientra dalla porta di servizio (come fa oggi Berlusconi). Schroeder, Chirac o Aznar piuttosto che Blair non potrebbero mai rientrare nell'agone politico del loro paese. Sarebbe inusuale. Lontano da quel galateo politico che non vieta a nessuno di ricandidarsi cinque, dieci o venti volte, ma che presume almeno il buon senso di non farlo. 
L'anno salvifico del professor Monti si conclude così con un retrogusto amaro, proprio a causa dei capricci del Re Sole. Un Re Sole che da vent'anni tiene in ostaggio un paese che consapevolmente si fa soggiogare dalla peggiore propaganda politica. E di propaganda soltanto si muore di fame. La rivoluzione liberale non c'è stata, la lotta alla corruzione e agli sprechi di roma ladrona, di leghista memoria, nemmeno. E nonostante ciò, Berlusconi ha ancora il coraggio di candidarsi, dimostrando di avere ancora presa sull'elettorato italiano con una campagna che si preannuncia all'insegna dell'antimontismo, del no tasse e del no Europa. All'insegna di quelle bugie e di quelle menzogne che hanno ancora la loro suggestione su una certa parte di elettorato italiano. 
Eppure, noi popolo di trasgressori, siamo la vera e propria anomalia d'Europa se pensiamo che chi diventò Presidente della Repubblica francese nel 1995, Jacques Chirac, oggi non fa più politica. Così come José María Aznar, che diventò primo ministro spagnolo nel 1996, e che oggi si occupa di tutta'altro. Andiamo poi in Inghilterra, dove Tony Blair diventato premier britannico nel 1997, mai e poi mai sognerebbe di ricandidarsi come primo ministro alle prossime elezioni. Stessa storia in Germania, altro grande paese europeo, dove Gerard Schroeder, diventato Cancelliere nel 1998, è ormai lontano dai riflettori pubblici. 
Alle prossime elezioni 2013, noi italiani, volenti o nolenti, avremo invece come candidato alla presidenza del consiglio, lo stesso uomo sceso in campo nel 1994. Il sintomo di un'Italia, ahimè, estremamente conservatrice.

AV

lunedì 3 dicembre 2012

Complimenti a Bersani, ma le primarie non garantiscono la governabilità nel 2013

Incredibile ma vero, a pochi mesi dal voto conosciamo soltanto un candidato premier: Pierluigi Bersani. Dopo la straordinaria esperienza delle primarie, il Partito Democratico e la coalizione di centro-sinistra sono gli unici soggetti dello scenario politico italiano ad avere un proprio candidato premier ed una proposta - ancorché poco definita - di governo del paese. Per il resto, gli altri soggetti politici appaiono più come quegli studenti che a una settimana dagli esami non hanno ancora aperto i libri. Dominati dalla mancanza di chiarezza e dal forte tatticismo, nessuno dei partiti che si candideranno alle prossime elezioni sembra attraversato da una discussione interna come quella che ha portato alle primarie del centro-sinistra. Dalla caserma berlusconiana, ormai in preda alla confusione, al soggetto elettorale di Casini, Fini e Montezemolo (troppo poco rappresentativo dal punto di vista dei consensi), nessuno si sta preparando alle prossime elezioni con  grande serietà, così come richiederebbe il momento. Il fattore Monti ha sicuramente spiazzato tutti ed è il sintomo dell'enorme debolezza in cui è piombata la politica italiana o almeno quella parte di schieramento moderato, liberale e tendenzialmente di centro-destra. 

Intanto, il centro-sinistra italiano si è ricompattato e ha dato prova di unità, ma ciononostante non riesce a superare la tradizionale soglia del 35%. Quello stesso 35% che, sin dai tempi del PCI, è lo zoccolo duro della sinistra italiana. Segno questo, che l'Italia morirà democristiana e che la mancanza di una cosa in stile balena bianca sconvolge ogni pronostico? Può darsi. Intanto Bersani e Vendola, ma anche lo sconfitto Renzi, raccolgono l'entusiasmo e la partecipazione di milioni di cittadini che hanno riscoperto parole come piazza e partecipazione. Mentre, dall'altro lato si brancola ancora nel buio, senza comprendere che di tatticismi si può anche morire. Chi ci guadagna in tutto ciò? Forse la sinistra, ma soprattutto la vera incognita di questa campagna elettorale: Il Movimento 5 Stelle. Sepolta la Lega, l'Idv e in parte il berlusconismo più radicale, Grillo e i suoi fagociteranno, verosimilmente, scontenti ed estremismi di vario genere. 

Complimenti quindi a Bersani, ma ahimè la strada verso un governo stabile e credibile del paese è ancora tutta in salita. Anche se si andasse a votare con questa legge elettorale, il centro-sinistra non sarebbe autosufficiente.

AV