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mercoledì 7 novembre 2012

Four more years.



"Four more years."

Certo rivedere Obama eletto, sentire il suo discorso sull'eguaglianza dei diritti, su quel paese che a sprazzi sembra avvilupato troppo su se stesso, ascoltare il suo "the best is yet to come", il meglio deve ancora venire. Beh tutto questo ha ancora il suo effetto. Così come vedere il tweet più retweettato di sempre, con l'immancabile Michelle. Nonostante la crisi, nonostante le tante promesse non mantenute, l'arte oratoria di Barack Obama riesce ancora a sedurre. Eppure, elettori democratici americani e cittadini europei a parte, l'elezione di Obama non è riuscita a sedurre i mercati internazionali, con le borse europee tutte in rosso e il Dow Jones che oggi ha chiuso a -2,13%. Ma non è tutto. Nella stessa giornata in cui il sogno americano da a sè stesso la sua seconda possibilità, in un "yes we can" atto secondo, le agenzie di rating alzano il cartellino rosso contro gli USA. Se infatti la spesa pubblica americana non verrà contenuta adeguatamente, la prima economia del mondo potrebbe subire lo storico declassamento da parte di Moody's e Fitch. A far scattare l'allarme, la possibilità di un mancato accordo tra repubblicani e democratici sul cosiddetto fiscal cliff, il pacchetto di sgravi fiscali messi a punto dall'amministrazione uscente per rilanciare l'economia del paese e le cui risorse scadranno il prossimo gennaio. Dove Obama troverà le risorse per rifinanziare un nuovo eventuale pacchetto di aiuti resta un mistero. D'altronde, l'economia (assieme alla politica estera) sono sempre stati il tallone d'Achille di Barack. Quel che è certo è che a poche ore dall'elezione del suo presidente, la finanza americana sembra battere cassa anche nei confronti della madre patria. E' il segno questo che ormai non si tratta più di finanza americana o inglese ma di una finanza globale con sede legale negli States o nella city londinese. Una finanza fluida e immateriale, ma soprattutto in grado di influenzare pesantemente le scelte del congresso americano così come quelle del parlamento britannico e in parte quelle di Bruxelles. Una finanza ormai a briglie sciolte e in grado di rovinare la festa del resuscitato sogno americano.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il secondo mandato di Obama non sarà affatto una passeggiata.

AV

martedì 20 settembre 2011

La crisi europea dei debiti? Siamo governati da inetti!

Caricature: Trichet, Sarkozy, Berlusconi, Merkel e Barroso


Il rischio default per la Grecia sembra aleggiare sempre più come uno spettro sul vecchio continente. Uno spettro simile a quello che per secoli ha caratterizzato la vita dell'Europa, scrivendo le pagine più buie che la storia dell'uomo ricordi. Se la Grecia dovesse fallire, e con essa Italia e Spagna, e se vi fosse la scellerata possibilità del crollo dell'euro, credo che potremmo dichiarare non soltanto il fallimento economico ma anche quello morale del nostro continente. Un fallimento la cui responsabilità ricadrebbe come un macigno sulle nuove generazioni. Verrebbe da chiedersi cosa sarebbe l'Europa senza l'euro. Ma bisogna anche domandarsi, cosa sarebbe l'euro senza l'Europa. L'Europa della BCE e delle finanze senza un'Europa politica è pura follia, è scelleratezza, è la genesi di quanto stiamo vivendo oggi. Un governo di tecnocrati non più in grado di fermare la speculazione dei mercati messa in azione dalle agenzie di rating e che avanza minacciosa, come un tempo facevano i tank nazisti. 

C'è chi sta lanciando in queste ore l'idea degli eurobond - tra cui l'ex presidente della Commissione europea Jacques Delors, come dichiarato in un'illuminante intervista pubblicata su corriere.it. Eppure, l'Europa continua a mostrare il suo fianco scoperto. Forse nemmeno gli eurobond potrebbero bastare se i mercati continueranno ad oscillare così vistosamente come hanno fatto nelle ultime settimane. Il fatto è che qui non si tratta più di debiti pubblici, di spread tra titoli di stato e Bund tedeschi che si allarga o di cattiva gestione della macchina comunitaria. Il fianco scoperto dell'Europa è ormai l'attuale classe politica che governa l'intero continente, a cominciare dal nostro presidente del consiglio. Cinica, impreparata e sostanzialmente debole, giorno dopo giorno la nostra classe dirigente europea sta consegnando alla speculazione finanziaria, l'intera Europa, stato per stato. 

Duole dirlo, ma da Parigi, a Berlino, passando per Roma e Madrid, siamo governati da inetti. Difficilmente usciremo dal perverso tunnel della speculazione in cui ci siamo cacciati con questi tizi qua!

AV

martedì 11 maggio 2010

La crisi greca: speculazione, ottimismo e conflitti d’interesse

Mi chiedo se i 750 miliardi "salva euro" di BCE ed FMI dello scorso maggio siano serviti a salvare il vecchio continente dal baratro.
Nel 2008, all’indomani della crisi dei mutui americani, si parlava di qualcosa di simile alla crisi del ‘29. Da un lato si annunciava la morte del capitalismo, mentre dall'altro c'era chi confidava ancora nella tenuta del sistema. La crisi si vince con l'ottimismo, il sistema reggerà, ci siamo sentiti ripetere per mesi da un Silvio Berlusconi, che ha fatto della parola ottimismo la sua ricetta anticrisi. Oggi sappiamo - spesso sulla nostra pelle - che parole come ottimismo o amore non ci danno un nuovo posto di lavoro né ci permettono di portare il pane a casa. Sono trascorsi due anni e ancora attendiamo la ripresa. Vertici internazionali, dichiarazioni, ma anche molta improvvisazione, poca Europa e un’America sull’orlo del baratro, con la Cina che si prepara a tenere le redini dell'economia mondiale. Mi ricordo che sin dall'inizio della crisi ci veniva raccontato che questa si sarebbe presto trasferita dalle banche all’economia reale, che i consumi privati sarebbero calati e che ci sarebbe stato il taglio di qualche posto di lavoro. Poi tutto come prima.
Nessun Keynes contemporaneo ha voluto invece richiamare alla pubblica attenzione la presenza di una fase intermedia: la crisi della finanza statale. Presto, la Grecia diventa l’agnello sacrificale. Nessuno ce l’aveva mai detto, nessuno ci aveva avvertito. Cosí come, prima del 2008, nessuno aveva lanciato l’allarme su quei mutui. Pronto, dietro l'angolo, si aggira lo spettro della speculazione finanziaria. Obbiettivo: attaccare la finanza pubblica, nervo scoperto di molti stati europei. Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia e Grecia finiscono nel mirino.

La forza militare non conta piú. Hedge fund ed agenzie di rating prendono il posto di panzer e baionette. A determinare ascesa e caduta di uno stato è dunque la salute dei suoi conti. Agenzie come Standard&Poor’s che, nonostante i clamorosi errori di valutazione nei confronti di Parmalat e Lehman Brothers alla vigilia del loro colossale crack, riesce ancora ad ottenere credibilitá internazionale. Una credibilitá che le permette di giudicare il debito pubblico di Atene come “junk”, spazzatura, facendo cosí piombare i mercati nel panico. Generando episodi di distruzione e morte, di guerriglia urbana. La scorsa primavera, sono in tre a morire soffocati all’interno di una banca a causa di un incendio provocato da alcuni manifestanti ad Atene. Per non parlare di Moody’s, altra agenzia di rating, che nello stesso periodo ha messo sotto accusa i conti pubblici di altri paesi europei, Italia inclusa. Una valutazione, quella di Moody’s che costerá alle borse del continente ben 183 miliardi di euro di capitalizzazione in un solo giorno. Si tratta di veri e propri attacchi da parte di soggetti in conflitto d’interesse, visto che nel capitale di molte agenzie di rating figurano quotazioni in aziende i cui utili dipendono dalle loro valutazioni di mercato.
E sono proprio i conflitti di interesse che stanno affossando gli equilibri di stati, regioni, forse dell'intero sistema internazionale. Pensiamo all'Italia e a dove ci ha portato il problema dei numerosi conflitti di interessi.

Insomma tra personaggi politici ed agenzie di rating, siamo messi molto male. Adesso, attendiamo ottobre ed una nuova puntata della crisi economica.

AV