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martedì 28 maggio 2013

La politica degli scontrini fa flop!

Sui grandi temi economici e politici è sicuramente molto più facile la presa populista. Annunciare l'uscita dall'euro, il taglio dei finanziamenti ai partiti o la riduzione degli stipendi parlamentari può far gola ad un elettorato chiamato a decidere sul governo dell'intero paese. Ma sul governo delle città questo tipo di comunicazione non fa presa. Ecco perché per il Movimento 5 Stelle, senza una vera e propria emergenza in corso, era davvero difficile, se non impossibile, vincere le consultazioni
Il caso Pizzarotti a Parma è la prova di quanto appena detto. Laddove ci sono delle emergenze in corso il movimento di Grillo riesce infatti a stravincere, magari esasperando la descrizione di una realtà politica tutt'altro che onesta. Il risultato di ieri è invece la controprova che se le realtà locali richiedono semplicemente più contatto con il territorio, gestione immediata delle emergenze e risposte concrete, Grillo non vince. Dire che tutti hanno rubato non aiuta affatto ad amministrare un comune. Onestà e trasparenza sono sicuramente fattori importanti per gestire la cosa pubblica ma vanno tradotti in azione. Ecco perché i proclami populisti non hanno fatto presa sulle città chiamate al voto. Nemmeno sulla complicata Roma. 


Insomma, se non c'è un termovalorizzatore di mezzo, una TAV da distruggere, l'uscita dall'euro o una casta da bacchettare, Grillo perde. Se a questo ci aggiungiamo l'atteggiamento tenuto dal movimento dopo il voto di febbraio e durante l'elezione del capo dello stato, è comprensibile come i proclami di Grillo tali restano per gli elettori. Gli italiani sono davvero stanchi della politica cialtrona, sia di quella in stile ancien régime che di quella targata 2.0. Se i grillini non iniziano a negoziare e mettere in pratica quanto hanno detto di fare, il primo ragionamento dell'elettore italiano sarà: perché dovrei smettere di votare i vecchi politici se questi non fanno altro che parlare di scontrini? Come dargli torto.

AV

martedì 16 aprile 2013

Incapacità a 5 Stelle

Nel giorno in cui gli internauti del Movimento 5 Stelle rendono noto che il loro candidato alla Presidenza della Repubblica sia l'autorevole giornalista d'inchiesta Milena Gabanelli, rivolgo a queste poche righe il mio auspicio: spero che la chimera del M5S si esaurisca quanto prima. E non tanto perché sia in disaccordo con le idee o le proposte del Movimento di Grillo. Sono in totale accordo con molti dei loro punti programmatici. D'altronde, chi può dichiararsi contrario alla riduzione del numero dei parlamentari, a un'economia sostenibile che aiuti le PMI (che ad oggi contribuiscono ai 3/4 circa dell'occupazione europea), a un ringiovanimento della classe politica e dirigente italiana? Nessuno! Tuttavia, spero che il Movimento si eclissi proprio per la manifesta incapacità dimostrata nel realizzare queste proposte. Una cosa è la teoria, altra è la pratica. Che l'onorevole (o cittadina, se preferisce) Lombardi chieda consigli su Facebook su cosa fare perché le hanno rubato il portafogli e non può rendicontare le spese sostenute nell'ultimo mese è un momento da reality show. Come se con questo eccesso di trasparenza gli italiani ci mangiassero! Ma ce lo vedete un deputato americano a scrivere ste boiate sul profilo Facebook? O un deputato tedesco che twitta, "Oggi a pranzo ho preso un piatto da 15 Euro, mentre quello meno caro costava 13. Ma era carne e io non la mangio. Che faccio? #Trasparenza"? Vomitalo! Che vuoi fare? Se la politica si riduce a "Non è la Rai" con Gianni Boncompagni-Casaleggio che suggerisce alla Ambra di turno cosa dire allora possiamo chiudere bottega. La politica è rappresentazione e come tale si basa sul principio della delega. Una delega che non può essere discussa e ridiscussa ad ogni minimo accadimento, altrimenti il sistema si appesantisce e si blocca. Una trattativa tra il PD e il Movimento sarebbe stata auspicabile per sbloccare lo stallo istituzionale e invece i grillini hanno preferito la coerenza. Con la quale il Pil italiano raddoppierà, il debito pubblico si dimezzerà ed ogni italiano avrà uno stipendio degno di questo nome. 

Consiglio. Così come la vecchia classe dirigente - Bersani e Berlusconi in primis - farebbe bene ad andare in pensione, i grillini vadano a studiare un pò di politica, di diplomazia e di principii di negoziazione. Va bene generare il dibattito su temi importantissimi del nostro malsano paese, ma a furia di dibattere e dibattere si finisce col non fare un benemerito c@%&0!  


AV  

domenica 4 novembre 2012

Non poteva non sapere!

L'Italia è un paese dove domina sovrana una visione della politica che sembra più una partita di calcio. Un'arena dove il gusto di fottere la squadra avversaria trionfando agli occhi di tutti come il vincitore è più forte di ogni tentazione. Per carità, non che in politica non esistano vincitori e vinti. Il fatto è che per decretarli ci sono le elezioni, finite le quali gli eletti hanno il dovere di governare e di farlo bene. Nelle democrazie normali funziona così. In Italia, invece, i nostri politici credono di vivere in una perenne campagna elettorale, più impegnati in risse da pollaio che a governare. Nell'ultimo anno le cose sono andate un pò diversamente, e l'insofferenza della politica è lì dietro l'angolo. Dover stare meno negli studi televisivi e più nelle commissioni parlamentari, parlare meno e fare di più: che tortura! Quello che non hanno capito è che l'ultimo anno trascorso è solo l'antipasto della buona politica. E negli ultimi 20 anni di buona politica nemmeno a parlarne! Abbiamo un debito pubblico malato di elefantiasi, servizi pubblici scadenti, siamo fanalino di coda rispetto al resto delle economie avanzate: basti pensare a Piazza Affari la cui performance è scesa dal nono al ventesimo posto nel giro di 10 anni (anche Madrid ha fatto meglio). La cosa ancor più triste è che, dopo tutti i soldi spesi per mantenerli, per fare quattro riforme alla sbrigativa i nostri politici hanno addirittura dovuto chiamare dei tecnici. Manca poco che anche la legge elettorale la faccia il governo per decreto per incapacità nel mettersi d'accordo. E così, il vero spreco è aver pagato della cattiva politica così profumatamente, e quel che peggio con i nostri soldi. Quei soldi che sono ormai l'unica ragion d'essere di ogni politico, dal consigliere provinciale a quello regionale, passando per gli scranni più alti. Soldi e potere che hanno fatto entrare nelle stanze del palazzo gente priva di ogni onore: altro che "onorevoli"! Certo, non siamo tutti uguali. Fare di tutta l'erba un fascio è un reato. Ma come ci insegna il padre politico di questa Italia, Giulio Andreotti, "a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca". 

E così, quando scopriamo che anche le verginelle della poltica hanno preso a piene mani soldi destinati alla vita pubblica (che poi quanto cacchio ci deve costare sta vita pubblica di scarsissima qualità) viene proprio la tentazione di fare di tutta l'erba un fascio. Ho votato Di Pietro e ho militato in quel partito con una tessera che ho tenuto per un solo anno (per fortuna, mi sento di dire adesso). Scoprire che nessuno è immune da quel vecchio verme italiano chiamato inciucio, casta, corruzione o più comunemente mancanza di rispetto per gli altri, fa pensare che non basterà una terza repubblica o un Monti bis per estirpare il grande cancro di questo paese. Non poteva non sapere, tuonava Tonino in toga contro Bettino Craxi durante gli anni di mani pulite. Così come, sempre in quegli anni, fuori dall'hotel Raphael il giovane Franco Fiorito - detto "er Batman" - tirava le monetine contro Craxi.  

Giovani rampanti e pieni di ideali. Oggi, maturi ed esperti, ... non potevano non sapere!

AV

mercoledì 15 settembre 2010

Prostituzione di Stato


Mi chiedo cosa ne pensano le donne del Pdl delle parole di Straguadagno? Cosa ne pensa Daniela Santanché, paladina della lotta alla prostituzione? E la ministra Carfagna? Qual è l’opinione di una donna avvenente alla guida di un ministero che promuove pari opportunità e lotta ad ogni discriminazione? Se la sente di condannare le parole del deputato Pdl? Nei giorni scorsi Stracquadanio aveva detto: per far carriera è lecito usare quello che uno ha. Quindi, il proprio corpo, il proprio potere, il proprio denaro, le proprie armi e forse anche la propria intelligenza. Insomma, come Craxi nel 93 abbatté il muro dell’ipocrisia sulla corruzione, Stracquadanio squarcia il velo sulle Messaline di Stato. D'altronde, nel verbo berlusconiano è normale che una bella donna usi il proprio corpo pur di far carriera. Vanno però evidenziate le falle di questo ragionamento che si vuole sdoganare in politica, visto che a parlare non è stato Riccardo Schicchi ma un deputato della maggioranza. L'egoismo di fondo che sottende quel ragionamento non ha infatti nulla a che vedere con lo spirito della politica: operare nell'interesse comune. Quelle affermazioni prevedono soltanto gli egoismi materiali del piacere sessuale per l'uomo e della brama di denaro e potere per la donna. In sostanza, nulla a che vedere con la funzione della politica: il raggiungimento del bene comune. Da un lato, l’uomo che vuol svuotarsi le palle con la gnocca di turno piuttosto che con la moglie chiattona, conosciuta ai tempi in cui faceva il lacchè a salario minimo. Dall’altro, l’escort a tariffario alto che aprirà le gambe per una poltrona, decretando la morte di sè stessa e del ruolo che ricopre. Ma c'è di più. Sdoganando il "te la do ut des" nelle più alte sedi istituzionali - ormai deputate a discutere di puttane e puttanate - si lancia un messaggio ad intere generazioni, con l'effetto di una vera e propria induzione alla prostituzione a mezzo stampa! 

La cosa strana è che qualche giorno fa anche la finiana Angela Napoli aveva fatto affermazioni simili. Abbattendo per prima il muro dell’ipocrisia, la Napoli disse che alcune deputate (grazie alla legge nomination) si erano prostituite pur di essere elette in parlamento. A quel punto, le si è scagliata contro una fanteria di pidielline imputtanite ed incazzate. La deputata chiede alle colleghe del Pdl perché si stiano incavolando proprio loro, visto che non aveva chiamato in causa nessun partito. Rispondono che quelle parole sono un’offesa, a prescindere. Tuttavia, giorni dopo, quando ad Angela il censore si sostitusce con più libertina legittimazione "Straguadagno", quasi scoppiavano gli applausi!

Morale della favola? È vero che sia la Napoli che Stracquadanio hanno squarciato il velo dell’ipocrisia. Ci sta pure che quasi tutte le troniste del parlamento l’hanno data al capo dei capi per essere elette. C’è però una sottile differenza tra i due approcci. Tra quello della Napoli che condanna il comportamento in sé, in nome di una politica meritocratica. E quello di Stracquadanio, atto a legittimare la prostituzione di Stato, categoria ultima di quella mignottocrazia in cui tutti, uomini e donne, hanno prostituito corpo e idee pur di arrivare.

AV

venerdì 3 settembre 2010

Se Dalla Chiesa ...

L'auto del generale Dalla Chiesa dopo l'attentato
Se a suo tempo Dalla Chiesa avesse ricevuto il supporto dello Stato. Se gli uomini che hanno combattuto questo cancro che da anni divora la mia terra avessero avuto dalla loro parte anche lo Stato. Se le istituzioni che a parole dicevano di voler sconfiggere la mafia avessero davvero supportato con i fatti quelle parole. Se la classe dirigente siciliana non fosse stata talmente debole da cedere alle lusinghe della piovra, diventando collusa. Se la morte dei miei eroi fosse davvero servita a vincere la guerra. Se quella guerra fosse stata davvero dichiarata dallo Stato e non solo da un gruppo sparuto di uomini, veri e propri servitori di questa terra. Se quella guerra fosse davvero stata vinta. Se anni ed anni di soprusi, miseria e paura fossero davvero stati troppi. Se qualcuno avesse avuto a cuore il bene di questa terra di Sicilia. Se molti miei conterranei non avessero voltato le spalle al loro popolo in nome del potere, del denaro e dell’avidità. Se la ragion di stato fosse stata boicottata in nome della ragione del popolo. Se quelle mani insanguinate non fossero state manovrate da menti lucide e ciniche. Se la politica non si fosse così putidamente collusa. Se almeno la voce della gente e della sofferenza fosse stata ascoltata. Se questa non si fosse piegata al loro volere. Se l’intero popolo siciliano non avesse avuto paura. Se le pallottole e i fiumi di sangue per le strade della Trinacria non avessero fermato tutti noi. Se lo stato avesse chiesto scusa. Se molta più gente si fosse indignata. Se tutto questo fosse avvenuto oggi commemoreremmo con meno ipocrisia Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie, Emanuela Setti Carraro, e l’agente di scorta, Domenico Russo, barbaramente uccisi alle ore 21.15 del 3 settembre del 1982, in via Isidoro Carini, a Palermo. Li ricorderemmo come davvero meriterebbero. Con rispetto. 
« [...] ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla. »
Mangano è il vostro eroe. Dalla Chiesa il nostro.

AV

mercoledì 25 agosto 2010

Un'estate italiana

Fini, Berlusconi e Casini durante un comizio elettorale

Non dimenticherò mai l'estate 2010. La prima estate dopo la laurea. La prima estate trascorsa completamente all'estero. La mia prima estate a Londra. La prima da precario stagista. La prima in cui la politica italiana non è affatto andata in vacanza, e questo non per lavorare in Parlamento ma per rendersi ridicola fino all'inverosimile. Da maggio, infatti, dopo il caso Scajola, è stato un crescendo di nefandezze. Le peggiori che io ricordi. Il dibattito politico si è arenato e visto l'autunno caldo che ci aspetta, con il debito pubblico alle stelle e molti comuni prossimi alla bancarotta, non credo fosse proprio il caso.

Intanto, da quando i signori in doppio petto hanno smesso di lavorare, hanno pensato bene di riaprire le segrete del castello. Tuttavia, non gli è venuto difficile riesumare dai meandri delle caverne alcuni classici della politica all'italiana. Insulti. Accuse. Inchieste. Illazioni. Denunce. Espulsioni. Ricatti. Minacce. Diti medi. Culi a tarallo. Elezioni anticipate. Governi tecnici. Assieme agli immancabili "si salvi chi può" ed "alleamose che è mejo". Qualcuno la chiamerebbe "sputtanopoli". Altri, repubblica delle banane. Io, in tutta onestà, senza girarci tanto sopra, la chiamo repubblica italiana (prima, seconda o terza fa poca differenza). Tuttavia, i cimeli della cripta hanno trovato la loro collocazione in pubblico sotto etichette più diplomatiche ed affidabili. Governi di responsabilità nazionale. Lealtà con gli elettori. Inchieste editoriali. Attacco alle istituzioni. Bla, bla, bla.

In questa inedita estate 2010 è stato anche riesumato uno tra i tesori più preziosi del castello della repubblica italiana. A mio avviso, si tratta del più caratteristico, e non ha etichette che tengano: è il trasformismo. Basta mettere su un partito facendo ammenda e studiando alla meno peggio da chi ha condotto battaglie giornalistiche e politiche serie contro il sistema poco trasparente cui si apparteneva. Non basta cambiare etichetta, farsi una fondazione e mettere un esperto dell'antimafia per redimersi da un peccato lungo solo sedici anni. 

E intanto, i fumi maleodoranti che provengono dalla botola del vecchio castello sono venuti su. Letali. Velenosi. Talmente velenosi che pare abbiano raggiunto il picconatore a metà agosto. Nemmeno lui, custode delle tante ampolle soporifere del castello repubblicano, è riuscito a sopportarli. D'altronde, bisogna godere di ottima salute per sopravvivere a certe cose.

AV

Dedicato ad una generazione di precari e di migranti


Volevo fare politica. Proporre le mie idee. Qualcosa che aiutasse il mio paese ad uscire dalla crisi. Un'invenzione. Una soluzione. Dei suggerimenti. Venne l'inverno. E non accadde nulla. E così a seguire tutte le stagioni. Non riuscivamo ad uscire dal baratro. 

Sprofondavamo sempre di più. Ci sembrò di toccare il fondo, ma non era ancora arrivato il momento di toccarlo. Come in un incubo, eravamo sprofondati dentro un tunnel più lungo del previsto. Non avevamo lavoro, certezze e denaro a sufficienza. Avevamo qualche idea. Ci tolsero anche quelle, insieme alle ambizioni e al futuro. Resero precario tutto. Pensavamo di accettare quei cambiamenti e quella mancanza di certezze perché faceva più fighi. Più progressisti. Poi la precarietà toccò le nostre vite. Le nostre tasche. Il nostro domani. E ci lamentammo. Volevamo protestare, ma ci fu impedito. Troppi interessi in gioco per pochi, troppo poco interesse a farlo per molti. E venne il mare di disperazione. Continuavamo a votarli nella speranza che tutto cambiasse, ma nulla cambiò. La grande menzogna! Questo era stato. E venne l'ora della resa dei conti. E sempre in piedi cadevano gli storpi e sempre più frantumati rimanevano i giusti. O almeno, così si definivano. In realtà erano deboli. La massa applaudiva e non si rendeva conto. Le idee fuggivano. Gli innovatori scappavano via, cacciati come appestati. Avevano letto, scritto e studiato. Volevano soltanto avere una possibilità. Ma si videro scavalcati da rozzi e insolenti, beceri e meschini, insulsi e marrani, ladri e corruttori. Non v'era più spazio per gli uomini delle idee ma solo per quelli del malaffare. Niente più posto per altruismi, ma soltanto per egoismi autoreferenziali. L'esaltazione dell'io aveva colpito di nuovo. Non esisteva più la parola comunità ma solo una miriade di inutili isole. E ci sfaldavamo.

Volevamo solo fare politica.
Occuparci del bene del nostro paese.
Migliorarlo tanto. Davvero tanto!
Non ce l'hanno permesso ...

AV

mercoledì 11 agosto 2010

Napolitano va in pensione

Stromboli


Le si invocano con forza. Con calcolo. Ed anche con molta fretta. A chiedere elezioni anticipate è anzitutto la Lega che non vuole governi diversi da quello di Silvio il federalista. Di Pietro chiama i suoi alle armi ma vorrebbe votare con un'altra legge elettorale. Il triumvirato Fini, Casini e Rutelli – già predetto da mio padre un anno fa, manco avesse la palla di cristallo – cerca di incantare un PD piuttosto bisex. 
Intanto, i berluscones capitanati da Feltri affilano i coltelli. La politica è in vacanza. Si presenta abbronzata alle telecamere nell’ennesima estate di crisi economica e sociale che chiunque si rifiuta di leggere e interpretare. Cattivo segnale.

Intanto, si parla di nuove elezioni. Ma che sarà mai! Solo l’ennesimo governo che se ne va. L'ennesima 'vacatio guberni' di un paese in odor di decadenza. Chi chiede elezioni anticipate non sa o fa finta di non sapere. Un nuovo voto, infatti, comporterebbe lo stop del paese per altri sei mesi. Se ne deduce che chi le chiede non lo fa certo per il bene dell’Italia. Attenzione però. Ciò non vuol dire che chi non le chiede e invoca governi di transizione lo faccia per il bene del paese! Anche lì, tra chi parla di aree di responsabilità e stronzate varie, le parole d'ordine sono speculare e incassare vittorie personali. E allora? Dove sta la verità? Chi può dirlo!

Sono convinto che di fronte ad una brutta premessa non possono che esservi brutte conseguenze. È però fastidioso sentirsi ripetere ogni giorno, a disco incantato, che bisogna tornare subito alle urne. E non tanto per la ripetitività dell’argomento, quanto per un fatto di prerogative costituzionalmente sancite. Come si fa ad arrogarsi il diritto di dire “bisogna tornare a votare” – mi riferisco all’uomo dal dito medio, che arriva a dire “abbiamo i voti del nord” quasi fosse diventato il suo padrone – quando la Costituzione prevede che il potere di sciogliere le Camere spetta al Presidente della Repubblica (art. 88)?

Tuttavia, quest’ultimo pare sia già andato in pensione. E non mi riferisco ad un alberghetto, ma al fatto che pare abbia mandato in pensione il suo ruolo istituzionale. Durante il marasma degli ultimi giorni, Napolitano è andato a Stromboli. In vacanza, dicono gli esperti. Secondo me, per abituarsi all’illusoria quiete offerta dai vulcani, visto che proprio adesso, caro Giorgio, sei seduto su di un cratere in procinto di esplodere.

AV

venerdì 6 agosto 2010

Osteria Montecitorio

Alcuni momenti topici della classe politica italiana
Durante il voto sulla sfiducia al sottosegretario Caliendo se ne sono viste delle belle. A poco più di due anni dalla caduta del governo Prodi, i nostri dipendenti politici continuano a trattare il Parlamento come l’osteria del porto. Chi non ricorda l’allora senatore Nino Strano con mortadella e spumante in aula alla caduta del governo di centrosinistra, pulloverino rosso sulle spalle stile passeggiata domenica sera a Taormina. Un gesto futurista. Dannunziano, forse. Cafonal, aggiungerei. “Checca squallida”, urlò al senatore Cusumano che si apprestava a votare la fiducia al governo Prodi. Mah!? Non entrerà mai più in Senato, tuonò qualcuno dell’area finiana. In Senato no, ma nella giunta regionale siciliana come assessore al turismo sì. Per non parlare del fatto che il signore abbia un procedimento penale in corso per abuso d’ufficio durante la sua attività nella gloriosa e vulcanica giunta catanese di Umberto Scapagnini.

L'altro ieri il sequel della saga. Inutili i richiami del Presidente della Camera - boni che “siamo in diretta televisiva” (chissà cosa avviene quando non lo sono). Ritegno e pudore sono ormai banditi a Montecitorio e a Palazzo Madama. L’onorevole - ovvero uomo degno di onore e di rispetto - Martinelli (Pdl) lancia all’ex collega Di Biagio (Futuro e Libertà) la tessera che i deputati usano per votare. «Merde, merde, sono delle merde...» dice prima di uscire dall’aula, rivolgendosi ai finiani. Mentre, nella foto che lo immortala qualche istante prima, pare dire: «ti faccio un culo così». Altre fonti gli attribuiscono la frase: «ti faccio un culo a tarallo». Che tenero! Daniela Santanchè, intanto, viene inquadrata mentre rientra in aula. Ha un'aria stordita. Si sistema i capelli quasi avesse ricevuto un ceffone in Transatlantico. Entra Silvio. Subito gli si avvicina il deputato leghista Gianluca Bonanno, suo collega cabarettista noto per le performance a Pomeriggio 5 (trasmissione di approfondimento dell’ignoranza di Canale 5). Gli stringe la mano con ammirazione (forse per i duetti con Apicella). Applausi. Cori da stadio. “Silvio, Silvio”, gridano i berluscones. “Duce, Duce” grida un gruppo di nostalgici. I leghisti non sono da meno. Loro che sono nati a Pontida, dove lo si ha sempre duro, inneggiano a Bossi, leader maximo della rivoluzione padana (mai rivoluzione fu così lenta a farsi). Che estasi! Per gli amanti del calcio e delle risse questa sì che è politica. Donne parlamentari (Saltamartini, Pdl) che danno pugni ad onorevoli di sesso maschile (Barbato, Idv ). Per non parlare dei vaffa e vada a farsi fottere di Vendola e D'Alema a Ballarò.
La mozione non passa. Si discute di governicchi e governi di transizione. Nasce la nuova area di responsabilità. Quella fatta dai partiti che ospitano i Cuffaro. Di quelli che invocano la moralità in politica mentre si riprendono il catanese Strano tra le proprie fila. Insomma, un vero e proprio fronte della responsabilità! 

AV

domenica 14 febbraio 2010

Dalla Stampa alla Giustizia: l'erosione dei poteri


La politica italiana è uno degli aspetti della vita della nostra penisola che riceve maggiore attenzione da parte della stampa. Tuttavia, nonostante questo enorme interesse non vi è alcun modo di trasformare la funzione della stampa in una funzione di controllo, come avviene nei paesi anglosassoni. Gap culturale? Non direi. In qualsivoglia democrazia la funzione sacrosanta della stampa è quella di mettere il becco nell’operato degli amministratori, cui i cittadini hanno dato mandato al fine di essere ben governati. Si tratta di una funzione che dovrebbe fare pressione sulla politica affinché questa faccia il proprio dovere. Un controllo di tipo non istituzionale. Purtroppo, questo profilo da quarto potere la stampa italiana non è riuscita mai ad averlo. Questo perché è rimasta ancorata ad una logica di prostituzione e di profondo e indissolubile legame con il mondo della politica. Chi sta con lo zoppo presto impara a zoppicare e non è quindi un caso se molti dal mondo dell'informazione migrano per qualche legislatura, se non per la loro intera esistenza, verso un ramo del parlamento. In realtà è una forma di autosostentamento, un modo per rimanere all'interno di un vecchio sistema che nasce a Roma, cresce a Milano e viene digerito nel meridione. Una transumanza che non ha colore politico né una connotazione episodica. D'altronde, una stampa che vive di denaro pubblico non può che essere asservita al suo padrone. Paradossalmente, in Italia i soldi pubblici - che per loro natura non dovrebbero avere una connotazione di natura patrimoniale - servono sempre per fare interessi privati. Come? Nel caso della stampa non raccontando i fatti più vergognosi correlati all'operato amministrativo del mondo politico. Il risultato è che la stampa finisce per raccontarci soltanto la superficie dei fatti, mai la polpa. Formalmente si deve dare l'idea di una buona stampa, che informa anche quando il capo commette dei reati. Se Berlusconi è inquisito o D'Alema ha commesso un illecito la stampa italiana lo racconta. Tuttavia, lo fa in versione limitata. Gli dedica qualche riga, un trafiletto, una fotonotizia, senza mai andare oltre. Ciò ha permesso che in questi anni la stampa si trasformasse da cane da guardia della politica in cane da salotto, ovvero in un animale domestico ad uso e consumo dei palazzi di governo. Vedere i vari Minzolini dell’ informazione commentare i fatti senza se e senza ma, incensando ad nauseam sull’altare della legittimazione elettorale il leader maximo, è qualcosa di indigeribile per chiunque abbia il vizietto di volere una narrazione dei fatti lucida ed imparziale. Ed è così che la stampa italiana ha finito per informare sui personaggi politici italiani come se questi fossero delle perfette statue greche, senza macchia e senza peccato.

Il problema adesso è che nell'Italia della stampa a senso unico si stia cercando di fare un'altra operazione. Si vuole asservire al mondo politico l'unico potere parzialmente indipendente del nostro paese: la giustizia. Una giustizia che purtroppo parte da una posizione svantaggiata: la sua imperfezione. Congenita, in senso universale, e specifica, se rapportata al nostro paese. E’ noto che la giustizia italiana è una giustizia lenta. Una giustizia a tratti politicizzata. Una giustizia che non dà risposte certe ai cittadini. Una giustizia spesso imparziale. Ma è pur sempre giustizia! Se è lenta, si chiedano e si esercitino più pressioni per avere maggiori risorse. Se ha legami con la politica, abbia il coraggio di sganciarsi da questo giogo e da questi rapporti ricchi di chiaroscuri. Vanno limate le falle del sistema giustizia da subito. Se non lo si farà, l'apparato giudiziario del nostro paese rischia di diventare una vecchia roccaforte medievale ormai diroccata e quindi facile preda dei saccheggiatori. Insomma, rischiamo che la giustizia faccia la fine che ha fatto la stampa e l’informazione in generale in questi anni, diventando pressoché inesistente in un paese come il nostro: caotico, ricco di infinite collusioni e di conflitti d’interesse. 

AV