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giovedì 5 agosto 2010

I nostri giornalisti preferiscono i letamai

Beppe Grillo presenta il simbolo del Movimento
È proprio vero. A moltissimi giornalisti piacciono fango e letamaio. Ci sguazzano dentro come maialini. E non mi riferisco a chi “monta le campagne di fango e di odio” - come direbbe Berlusconi - ma al fatto di voler dare risalto a certe notizie piuttosto che ad altre.
Qualche giorno fa, col "comunicato politico numero trentaquattro", Beppe Grillo annuncia dal suo blog che il Movimento 5 Stelle (mezzo milione di voti alle scorse regionali, mica cotiche!) presenterà propri candidati alle elezioni comunali del 2011 e a quelle politiche del 2013. Da giornalista provetto, la definirei una notizia importante. Soprattuto per il nuovo approccio alla politica del Movimento, ovvero quello della democrazia liquida e partecipativa. Un approccio che muove dal basso, coinvolgendo cittadini di qualsiasi estrazione sociale e professionale purché competenti e in grado di fare politica in nome del bene comune. Un movimento che sceglie di candidare gente incensurata, il che non è poco nell’Italia dei Previti, dei Dell’Utri e dei berluscones. La reputo una notizia importante anche perché si tratta di un qualcosa che alle regionali dello scorso marzo ha sbancato con un pacco di voti, rifiutando qualsiasi rimborso elettorale (1.700.000 euro, mica cotiche!). Per di piú, si tratta di un movimento e non di un partito da mausoleo come quelli che ci apprestiamo a seppellire nel triste pantheon della seconda repubblica. Ed infine, last but not least, la definirei notizia importante visto che il Movimento, a differenza degli altri partiti, ha preso tutti quei voti senza uno straccio di copertura mediatica. E questo sempre per il teorema che i nostri media preferiscono di gran lunga fango e letamaio. Fa più notizia!

Tra l’1 e il 3 agosto, nessun giornale, TG, radio o sito ha dato copertura adeguata al comunicato politico trentaquattro. Qualche foto e due righe lette da un giornalista appositamente scazzato sui telegiornali nazionali; in fondo ai siti delle principali testate online; nelle emittenti radiofoniche nemmeno a parlarne. L’unico è stato Il Fatto Quotidiano che ha voluto dedicare la homepage del proprio sito al M5S con tanto di intervista a Beppe Grillo. E gli altri che facevano? Si occupavano compiaciuti dell’elezione di Vietti al Csm. Parlavano di P3, Caliendo e Verdini smontando i cosiddetti teoremi dei giudici. Si occupavano di tatticismi politici e di quelle analisi autoreferenziali sul futuro del governo e del paese. Di terzo polo e mozioni di sfiducia. Mica cotiche!

Per dirla in breve, si vuol sempre e solo dar spazio alla vecchia aria da letamaio. E' perfino meglio raccontarci ciò che avviene nelle stalle di palazzo piuttosto che parlarci delle novità, nel bene o nel male, che muovono la società italiana.

AV

domenica 14 febbraio 2010

Dalla Stampa alla Giustizia: l'erosione dei poteri


La politica italiana è uno degli aspetti della vita della nostra penisola che riceve maggiore attenzione da parte della stampa. Tuttavia, nonostante questo enorme interesse non vi è alcun modo di trasformare la funzione della stampa in una funzione di controllo, come avviene nei paesi anglosassoni. Gap culturale? Non direi. In qualsivoglia democrazia la funzione sacrosanta della stampa è quella di mettere il becco nell’operato degli amministratori, cui i cittadini hanno dato mandato al fine di essere ben governati. Si tratta di una funzione che dovrebbe fare pressione sulla politica affinché questa faccia il proprio dovere. Un controllo di tipo non istituzionale. Purtroppo, questo profilo da quarto potere la stampa italiana non è riuscita mai ad averlo. Questo perché è rimasta ancorata ad una logica di prostituzione e di profondo e indissolubile legame con il mondo della politica. Chi sta con lo zoppo presto impara a zoppicare e non è quindi un caso se molti dal mondo dell'informazione migrano per qualche legislatura, se non per la loro intera esistenza, verso un ramo del parlamento. In realtà è una forma di autosostentamento, un modo per rimanere all'interno di un vecchio sistema che nasce a Roma, cresce a Milano e viene digerito nel meridione. Una transumanza che non ha colore politico né una connotazione episodica. D'altronde, una stampa che vive di denaro pubblico non può che essere asservita al suo padrone. Paradossalmente, in Italia i soldi pubblici - che per loro natura non dovrebbero avere una connotazione di natura patrimoniale - servono sempre per fare interessi privati. Come? Nel caso della stampa non raccontando i fatti più vergognosi correlati all'operato amministrativo del mondo politico. Il risultato è che la stampa finisce per raccontarci soltanto la superficie dei fatti, mai la polpa. Formalmente si deve dare l'idea di una buona stampa, che informa anche quando il capo commette dei reati. Se Berlusconi è inquisito o D'Alema ha commesso un illecito la stampa italiana lo racconta. Tuttavia, lo fa in versione limitata. Gli dedica qualche riga, un trafiletto, una fotonotizia, senza mai andare oltre. Ciò ha permesso che in questi anni la stampa si trasformasse da cane da guardia della politica in cane da salotto, ovvero in un animale domestico ad uso e consumo dei palazzi di governo. Vedere i vari Minzolini dell’ informazione commentare i fatti senza se e senza ma, incensando ad nauseam sull’altare della legittimazione elettorale il leader maximo, è qualcosa di indigeribile per chiunque abbia il vizietto di volere una narrazione dei fatti lucida ed imparziale. Ed è così che la stampa italiana ha finito per informare sui personaggi politici italiani come se questi fossero delle perfette statue greche, senza macchia e senza peccato.

Il problema adesso è che nell'Italia della stampa a senso unico si stia cercando di fare un'altra operazione. Si vuole asservire al mondo politico l'unico potere parzialmente indipendente del nostro paese: la giustizia. Una giustizia che purtroppo parte da una posizione svantaggiata: la sua imperfezione. Congenita, in senso universale, e specifica, se rapportata al nostro paese. E’ noto che la giustizia italiana è una giustizia lenta. Una giustizia a tratti politicizzata. Una giustizia che non dà risposte certe ai cittadini. Una giustizia spesso imparziale. Ma è pur sempre giustizia! Se è lenta, si chiedano e si esercitino più pressioni per avere maggiori risorse. Se ha legami con la politica, abbia il coraggio di sganciarsi da questo giogo e da questi rapporti ricchi di chiaroscuri. Vanno limate le falle del sistema giustizia da subito. Se non lo si farà, l'apparato giudiziario del nostro paese rischia di diventare una vecchia roccaforte medievale ormai diroccata e quindi facile preda dei saccheggiatori. Insomma, rischiamo che la giustizia faccia la fine che ha fatto la stampa e l’informazione in generale in questi anni, diventando pressoché inesistente in un paese come il nostro: caotico, ricco di infinite collusioni e di conflitti d’interesse. 

AV