domenica 23 marzo 2014

Muore il De Gasperi spagnolo - Il Motore della Transizione

La copertina dedicata dal Time a Suárez
Dopo una lunga malattia, muore all'età di 81 anni Adolfo Suárez, il primo ministro della Spagna post-franchista. 
Traduco, per quanti non conoscessero questa importante figura della storia spagnola - il cui ruolo è paragonabile a quello assunto da Alcide De Gasperi nell'Italia post-fascista - un articolo tratto dal quotidiano El Mundo, dal titolo El Motor de la Transición - Il Motore della Transizione


Il Motore della Transizione

Raramente, un uomo politico riceve in vita il riconoscimento storico del suo operato. Adolfo Suárez González (Cebreros, Avila, 1932 - Madrid, 2014), primo presidente della Spagna democratica, è stato uno dei pochi 'prescelti'. Le date chiave della sua vita politica coincidono con i momenti più intensi della storia della Spagna negli anni successivi alla morte di Franco.

La sua nomina, il 3 luglio 1976, suscitò poco entusiasmo e molte critiche. Per i settori più conservatori del regime, il re aveva scelto un uomo politico troppo giovane e inesperto. Nemmeno l'opposizione, che sognava la democrazia, vide di buon occhio la nomina di un uomo che era stato governatore civile di Segovia (1969-1973), Presidente della TV di stato (1969-1973) e ministro segretario generale del Movimento nel gabinetto di Arias Navarro (1975-1976). Nessuno allora poteva immaginare che 20 anni più tardi, quel laureato in legge avrebbe ricevuto il premio "Príncipe de Asturias de la Concordia" per il suo «comportamento politico esemplare durante la fondazione della democrazia» spagnola.

Gli 11 mesi in cui governò Suárez fino alla celebrazione delle prime elezioni democratiche sono state caratterizzate dall'opposizione del bunker franchista, dal terrorismo dell'ETA, dai GRAPO e dalla violenza da parte di gruppi di estrema destra. Suárez spinse fino al limite le sue intenzioni di dialogo e consenso, tenendo sempre presente l'obiettivo di legalizzare i partiti al fine di garantire elezioni veramente libere. Sono storici i suoi incontri con leader come Felipe González (PSOE), Jordi Pujol (CDC) o Santiago Carrillo (PCE).

L'adozione della Legge di Riforma Politica, primo passo per la fine del regime di Franco, diede al progetto di Suárez quella legittimità sociale che gli veniva negata in altri ambienti. Dopo la legalizzazione dei partiti e dei sindacati, l'amnistia per i prigionieri politici e il ritorno dall'esilio dei principali leader del Partito Comunista Spagnolo, sono soltanto i primi passi verso il primo appuntamento con la democrazia dal tempo della Seconda Repubblica: il 15 giugno 1977 la maggioranza degli spagnoli dà la sua fiducia alla coalizione fondata da Suárez, l'Unione del Centro Democratico (UCD). Comincia una tappa in cui vengono firmati i Patti della Moncloa per il risanamento economico, vengono approvati gli statuti preautonomici di Catalogna, Paesi Baschi e Galizia, e viene scritta, con il consenso di tutti i gruppi politici, la Costituzione spagnola. Il trionfo della UCD alle elezioni del 1979 fa di Adolfo Suárez il primo presidente costituzionale.

Il suo ruolo in politica è legato all'epoca d'oro della UCD. Le critiche alla sua gestione però provocano le sue dimissioni il 29 gennaio 1981. E come presidente in carica, avrebbe giocato un ruolo fondamentale durante il colpo di stato del 23 febbrario dello stesso anno. Poi, le divisioni interne nel partito lo portano a lasciare i suoi incarichi politici e ad aprire il suo studio legale a Madrid. Tuttavia, Suárez non rinuncia alle sue aspirazioni politiche: il neo nominato duca Suárez fonda il Centro Democratico e Sociale (CDS), che però alle elezioni generali del 1982 vinte dal PSOE ottiene soltanto due deputati - la UCD, senza Suárez, diviene la quarta forza politica dietro ad AP e CiU - mentre alle elezioni del 1986, sparita la UCD, riuscì ad ottenere fino a 19 seggi. Ma il declino del partito nel 1989 (perse 5 deputati  e scarso rendimento nelle elezioni comunali e regionali del 1991 diedero la conferma che ciò che Adolfo Suárez doveva fare in politica, lo aveva già fatto in un'altra fase della storia spagnola.

Degli ultimi anni alla guida del CDS risalta la sua attività all'interno dell'Internazionale Liberale e Progressista, prima come vicepresidente per gli affari latinoamericani e poi come presidente dell'organizzazione. La sua presenza attiva sulla scena internazionale durante questa fase, stride con il suo poco protagonismo nella politica spagnola causato, secondo molti analisti, dal declino del CDS a partire dal 1989.

Il declino in politica è però nulla in confronto alla tragedia personale che da lì a poco sarebbe apparsa nella sua vita privata. Nel 1991, assumendosi le proprie responsabilità, Suárez si dimette dalla carica di presidente del CDS, rinuncia al suo seggio e si ritira dalla politica. Ancora non sa che la moglie e la figlia avranno bisogno di lui, al loro fianco, nella loro battaglia senza successo contro il cancro.

Dedito interamente alla sua famiglia, Suárez rompe il suo silenzio soltanto nel 1995, chiedendo il dialogo nel bel mezzo delle tensioni politiche esistenti nel paese, e nel 2003 per sostenere la candidatura del figlio come presidente della regione di Castilla-La Mancha. Poi 'sparisce'. Una malattia degenerativa lo ha consumato a poco a poco fino a privarlo dei suoi ricordi. Per fortuna, la Storia non dimentica.


Traduzione: AV

lunedì 17 marzo 2014

Lui, lei e l'altro: tre cose che dovreste sapere sull'Ucraina

In un interessante articolo pubblicato qualche giorno fa sul Washington Post, l'ex segretario di stato americano Henry Kissinger suggerisce di neutralizzare l'Ucraina, ipotizzando una relazione tra Kiev e Mosca simile a quella che la Finlandia intrattiene da anni con la Russia: dentro l'Unione Europea da un lato ma per nulla ostile al vicino russo dall'altro. Un'ipotesi interessante quella di Kissinger, anche se le dimensioni geografiche, demografiche ed energetiche di Kiev non sono comparabili con quelle di Helsinki.
E' però inutile negare che per storia, cultura e lingua l'Ucraina non può essere né europea né russa. L'errore di fondo fatto finora da tutti gli attori di questo potenziale conflitto è invece quello di aver pensato all'Ucraina come ad un feudo da annettere ora all'Europa ora alla Russia, senza comprendere che un simile atteggiamento non farebbe altro che balcanizzare il conflitto, aggravandone la situazione.
A partire da questo "peccato originale", che Bruxelles, Washington e il Cremlino si portano dietro, ci sono altri tre aspetti che vanno considerati nella questione ucraina.

1) LUI: ILLEGALITA' INTERNAZIONALE
Al di là del fatto che quanto avvenuto ieri, dal punto di vista internazionale, assomiglia all'Anschluss (l'annessione dell'Austria alla Germania nazista) del 1938 di hitleriana memoria, più che all'indipendenza del Kosovo dalla Serbia del 2008, la questione della legittimità del referendum non è la leva su cui possono fare forza i governi occidentali. Sotto il profilo della legalità internazionale, infatti, il governo attualmente in carica in Ucraina, e appoggiato da Europa e USA, ha ben poco di legittimo. Dalla presa del potere, alla destituzione forzata dell'ex presidente Viktor Yanukovic, fino alla nascita di un esecutivo dove i ministri di Difesa, Agricoltura, Risorse Naturali e il vice premier appartengo al partito filonazista Svoboda, il nuovo governo ucraino è - al pari dell'annessione della Crimea da parte della Russia - al limite della legalità internazionale.

2) LEI: GLI INTERESSI ECONOMICI EUROPEI
Mentre le cancellerie europee continuano a dichiarare illegale l'annessione della Crimea, questa crisi internazionale non sta alterando per nulla il business tra le economie occidentali e la Russia. E' notizia di oggi che i russi di Rosneft, il più grande colosso energetico al mondo, il cui 70% appartiene al governo di Mosca, sono entrati in Pirelli con il 13%. Così come non è un mistero che la commessa di due portaerei che la Francia sta per vendere alla Russia non verrà minimamente intaccata dalla crisi ucraina. Ed è sempre notizia di oggi che la tedesca RWE, la seconda utility della Germania, ha venduto una sua controllata fortemente indebitata al miliardario russo Mikhail Friedman per 5,1 miliardi di euro.

3) L'ALTRO: LA PARTITA RUSSIA-USA
Più che all'Europa, il potenziale conflitto sembra strettamente collegato alla politica estera americana in Iran e all'impossibilità degli USA di entrare in azione un anno fa in Siria. Non è un mistero che il veto di Putin ad attaccare il regime di Bashar al-Assad ha di fatto rallentato la marcia americana su Damasco, lasciando Obama con le mani legate in merito al conflitto siriano. C'è poi la questione del ritiro americano dall'Afghanistan. Washington non può inimicarsi Mosca perchè il territorio russo è strategico per la ritirata delle truppe americane dal paese centro asiatico. Per non parlare degli interessi economici che gli USA vantano in Russia. Un aspetto questo, per il quale non converrebbe nemmeno a Putin un surriscaldamento della situazione in Crimea. 

Farebbero bene a tener conto di tutti questi fattori le diplomazie di Russia (lui), Europa (lei) e USA (l'altro) prima di andare in giro per conferenze stampe a raccontare mezze verità. 

AV

giovedì 13 marzo 2014

Vi racconto il primo anno di Bergoglio

"Fratelli e sorelle, buonasera!". Bisogna partire da questa frase per capire Bergoglio. Una frase così semplice che può essere un pò considerata come il motore del primo anno di pontificato di Papa Francesco. Una semplicità, quella del Papa venuto dall'altra parte del mondo, che si è tradotta in linguaggi, gesti e soprattutto in immagini del tutto inediti. 


Non è un caso se oggi è stato un proliferare di servizi ed articoli sul web, pronti a raccontare l'anno di Francesco in foto.

Rolling Stone dedica la sua copertina a Papa Francesco
Dalla scelta del nome (Francesco, il santo dei poveri), ai primissimi piccoli gesti del nuovo pontefice, carichi però di grandi messaggi, come pagarsi l'hotel in cui aveva soggiornato durante i giorni del conclave di tasca propria, o spostarsi in autobus insieme ai colleghi cardinali, Bergoglio è stato una continua sorpresa. In un mondo in cui le gerarchie e il potere contano sempre di più. In una globalizzazione che emargina gli ultimi, e li reclude nell'angolo dell'indifferenza. In un tempo pieno di ingiustizie gratuite in nome del dio denaro. In un contesto così, arriva il Papa da lontano. Da un altro mondo. E non solo geograficamente. Bergoglio viene da un mondo che non è la curia romana, che non è la Chiesa dei rituali sterili, dei pedofili, dell'omofobia, degli obiettori di coscienza, della discriminazione nei confronti di chi ha patito una disgrazia come il divorzio. Bergoglio è un'altra Chiesa. La Chiesa degli ultimi, la Chiesa dei più deboli, di chi ha meno. La Chiesa della semplicità.

Ancora è troppo presto per raccogliere i frutti di questa nuova Chiesa. Ciò che è certo è che questo primo anno di Papa Francesco ha cambiato, forse in modo irreversibile, il modo di comunicare dell'istituzione più antica del mondo.


AV

martedì 11 marzo 2014

Mi reflexión sobre el 11-M

Eran las 7:37 de la mañana del 11 de marzo 2004 cuando tres bombas estallaban en la estación de Atocha. Acababa de producirse el peor atentado terrorista que España recuerde. Un minuto después dos bombas explotaban en la estación del Pozo y otra en la estación de Santa Eugenia. Sólo en la estación del Pozo morirán alrededor de 60 personas.
Segundos más tarde, a las 7:39, cuatro bombas explotan en la Calle de Téllez, 500 metros antes de que el tren donde se produjo este último atentado entrara en la estación de Atocha. 
En definitiva, los atentados del 11-M sacudieron el país con 191 muertos. España sufrió una conmoción sin precedentes.

Una de las explosiones en Atocha desde una cámara de seguridad

El continente europeo ha sido herido más veces por el terrorismo yihadista, y los atentados de la capital española son de hecho el mayor atentado islamista cometido en el continente. 
Ahora, aunque parezca que el mundo occidental haya acabado con el terrorismo islamista, las semillas para que el famoso "choque de civilizaciones" siga creciendo no terminan de ser fertiles. La inestabilidad en muchos países del norte de África, los grupos extremistas que amenazan la paz en el Cuerno de Africa - como demuestra el reciente atentado en el centro comercial Westgate de Nairobi en Kenya - la situación en Darfur y los recientes acontecimientos contra los cristianos en Nigeria. Todos estos hechos no nos deben hacer pensar que la lucha contra el terrorismo se ha acabado con el 11-M o con la muerte de Osama Bin Laden. Quedan pendientes el conflicto en Oriente Medio entre Israel y Palestina, el de Líbano, la guerra civil en Siria, junto a la complicada cuestión de Afghanistan y al asunto nuclear en Irán. 

En el día de la memoria, mientras los andenes de la estación de Atocha siguen vivos, la llama del peligro del terrorismo islamista tiene que seguir igual de viva. El problema de la seguridad internacional, tanto en Europa como en el mundo entero, no puede ser una cuestión secundaria en la agenda política de nuestros gobiernos. Aunque la crisis nos ha hecho olvidar demasiadas prioridades, la amenaza del terrorismo islamista sigue viviendo.

AV