Il Congresso americano a Washington |
Ormai da qualche tempo la parola lobby è entrata di diritto a far parte del nostro vocabolario. Ma quanti sanno cosa significa questa parola di origine anglosassone vista spesso come qualcosa di sporco e negativo?
Il dibattito sull'etimologia del termine è molto acceso. C'è chi fa derivare il termine dal latino medioevale lobia ovvero loggia; altri la fanno risalire all'Alto-Tedesco lauba, che significava deposito di documenti; infine, in epoca più recente, il termine lobby è servito ad indicare l'anticamera del Parlamento inglese in cui i deputati d'oltre Manica ricevevano vari gruppi di pressione. E' quindi con quest'ultima accezione che il termine lobby è entrato a far parte del vocabolario comune. In realtà per lobby si intende qualsiasi gruppo organizzato in grado di esercitare pressione presso le istituzioni per la tutela dei propri interessi. Più propriamente si intende la pratica del lobbying come rappresentanza legittima dei propri interessi. Chiunque, insomma, può fare attività di lobbying, un'associazione, un'impresa o un ONG, purché rispetti la legge. Ecco un esempio per capire meglio cosa si intende per rappresentanza dei propri interessi. Se per assurdo, il Parlamento italiano stesse per varare una nuova legge che proibisce la vendita di cioccolata al fine di tutelare la salute dei bambini, le aziende che producono cioccolata si organizzerebbero per far sì che quel provvedimento non passi in Parlamento. Per farlo dovrà esercitare il proprio potere di persuasione, facendo pressione sul legislatore e convicendolo dell'inutilità di quella legge. In questo modo, l'impresa sta tutelando i propri interessi legittimi e cioè produrre cioccolata e non vedersi costretta a chiudere bottega. Il caso è estremo perchè ci sarebbero altri interessi in conflitto, quello della salute pubblica, per esempio, che formalmente ispira e legittima il provvedimento. Tuttavia, il caso è esemplificativo del fatto che chiunque abbia un interesse legittimo può rappresentarlo presso il legislatore. Fare lobbying significa quindi guidare le istituzioni pubbliche ad una migliore comprensione della realtà. Le aziende produttrici di cioccolata potrebbero convincere il legislatore del fatto che, se la legge che impedisce la produzione di cioccolata passasse, molte persone perderebbero il proprio posto di lavoro. Potrebbero persuadere i parlamentari che esistono prodotti più dannosi della cioccolata in grado di pregiudicare la salute dei bambini e così via. Il caso appena prospettato non costituisce reato, anche se presuppone una certa regolamentazione e trasparenza l'avvicinamento al legislatore da parte dell'azienda. Al Parlamento europeo, per esempio, esiste un registro di persone che fanno lobby per conto di aziende o associazioni e che possono chiedere un appuntamento con gli eurodeputati per esporgli la propria posizione su una legge nella più totale trasparenza. Lo stesso avviene nel mondo anglossassone, sia nel Congresso americano che nella Camera dei Comuni inglese. In Italia, purtroppo la professione del lobbista è poco nota e spesso ha assunto una connotazione negativa, dato che per lobbista si intende un affarista che tenta di aggirare la legge. Si pensi ai vari Bisignani o alle varie loggie P2 e P3 con comitati di persone che tutto vogliono tranne che motivare la legittimità dei propri interessi di fronte al legislatore.
Il lobbying non è quindi nulla di sporco. Presuppone però la maturità di un paese ad accogliere come legittimo il fatto che imprese, associazioni di categoria o qualsiasi gruppo in grado di organizzarsi possa convincere il legislatore della bontà delle proprie motivazioni in difesa di un loro interesse.
Per quanti volessero approfondire l'argomento, consiglio il libro di Fabio Bistoncini - tra i più affermati professionisti del lobbying in Italia - che con il suo Vent'anni da sporco lobbista ha descritto con impeccabile precisione cos'è la fantomatica lobby e quanto "sporco" sia il mestiere del lobbista.
Il dibattito sull'etimologia del termine è molto acceso. C'è chi fa derivare il termine dal latino medioevale lobia ovvero loggia; altri la fanno risalire all'Alto-Tedesco lauba, che significava deposito di documenti; infine, in epoca più recente, il termine lobby è servito ad indicare l'anticamera del Parlamento inglese in cui i deputati d'oltre Manica ricevevano vari gruppi di pressione. E' quindi con quest'ultima accezione che il termine lobby è entrato a far parte del vocabolario comune. In realtà per lobby si intende qualsiasi gruppo organizzato in grado di esercitare pressione presso le istituzioni per la tutela dei propri interessi. Più propriamente si intende la pratica del lobbying come rappresentanza legittima dei propri interessi. Chiunque, insomma, può fare attività di lobbying, un'associazione, un'impresa o un ONG, purché rispetti la legge. Ecco un esempio per capire meglio cosa si intende per rappresentanza dei propri interessi. Se per assurdo, il Parlamento italiano stesse per varare una nuova legge che proibisce la vendita di cioccolata al fine di tutelare la salute dei bambini, le aziende che producono cioccolata si organizzerebbero per far sì che quel provvedimento non passi in Parlamento. Per farlo dovrà esercitare il proprio potere di persuasione, facendo pressione sul legislatore e convicendolo dell'inutilità di quella legge. In questo modo, l'impresa sta tutelando i propri interessi legittimi e cioè produrre cioccolata e non vedersi costretta a chiudere bottega. Il caso è estremo perchè ci sarebbero altri interessi in conflitto, quello della salute pubblica, per esempio, che formalmente ispira e legittima il provvedimento. Tuttavia, il caso è esemplificativo del fatto che chiunque abbia un interesse legittimo può rappresentarlo presso il legislatore. Fare lobbying significa quindi guidare le istituzioni pubbliche ad una migliore comprensione della realtà. Le aziende produttrici di cioccolata potrebbero convincere il legislatore del fatto che, se la legge che impedisce la produzione di cioccolata passasse, molte persone perderebbero il proprio posto di lavoro. Potrebbero persuadere i parlamentari che esistono prodotti più dannosi della cioccolata in grado di pregiudicare la salute dei bambini e così via. Il caso appena prospettato non costituisce reato, anche se presuppone una certa regolamentazione e trasparenza l'avvicinamento al legislatore da parte dell'azienda. Al Parlamento europeo, per esempio, esiste un registro di persone che fanno lobby per conto di aziende o associazioni e che possono chiedere un appuntamento con gli eurodeputati per esporgli la propria posizione su una legge nella più totale trasparenza. Lo stesso avviene nel mondo anglossassone, sia nel Congresso americano che nella Camera dei Comuni inglese. In Italia, purtroppo la professione del lobbista è poco nota e spesso ha assunto una connotazione negativa, dato che per lobbista si intende un affarista che tenta di aggirare la legge. Si pensi ai vari Bisignani o alle varie loggie P2 e P3 con comitati di persone che tutto vogliono tranne che motivare la legittimità dei propri interessi di fronte al legislatore.
Il lobbying non è quindi nulla di sporco. Presuppone però la maturità di un paese ad accogliere come legittimo il fatto che imprese, associazioni di categoria o qualsiasi gruppo in grado di organizzarsi possa convincere il legislatore della bontà delle proprie motivazioni in difesa di un loro interesse.
Per quanti volessero approfondire l'argomento, consiglio il libro di Fabio Bistoncini - tra i più affermati professionisti del lobbying in Italia - che con il suo Vent'anni da sporco lobbista ha descritto con impeccabile precisione cos'è la fantomatica lobby e quanto "sporco" sia il mestiere del lobbista.
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