Mi chiedo se i 750 miliardi "salva euro" di BCE ed FMI dello scorso maggio siano serviti a salvare il vecchio continente dal baratro.
Nel 2008, all’indomani della crisi dei mutui americani, si parlava di qualcosa di simile alla crisi del ‘29. Da un lato si annunciava la morte del capitalismo, mentre dall'altro c'era chi confidava ancora nella tenuta del sistema. La crisi si vince con l'ottimismo, il sistema reggerà, ci siamo sentiti ripetere per mesi da un Silvio Berlusconi, che ha fatto della parola ottimismo la sua ricetta anticrisi. Oggi sappiamo - spesso sulla nostra pelle - che parole come ottimismo o amore non ci danno un nuovo posto di lavoro né ci permettono di portare il pane a casa. Sono trascorsi due anni e ancora attendiamo la ripresa. Vertici internazionali, dichiarazioni, ma anche molta improvvisazione, poca Europa e un’America sull’orlo del baratro, con la Cina che si prepara a tenere le redini dell'economia mondiale. Mi ricordo che sin dall'inizio della crisi ci veniva raccontato che questa si sarebbe presto trasferita dalle banche all’economia reale, che i consumi privati sarebbero calati e che ci sarebbe stato il taglio di qualche posto di lavoro. Poi tutto come prima.
Nessun Keynes contemporaneo ha voluto invece richiamare alla pubblica attenzione la presenza di una fase intermedia: la crisi della finanza statale. Presto, la Grecia diventa l’agnello sacrificale. Nessuno ce l’aveva mai detto, nessuno ci aveva avvertito. Cosí come, prima del 2008, nessuno aveva lanciato l’allarme su quei mutui. Pronto, dietro l'angolo, si aggira lo spettro della speculazione finanziaria. Obbiettivo: attaccare la finanza pubblica, nervo scoperto di molti stati europei. Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia e Grecia finiscono nel mirino.
Nessun Keynes contemporaneo ha voluto invece richiamare alla pubblica attenzione la presenza di una fase intermedia: la crisi della finanza statale. Presto, la Grecia diventa l’agnello sacrificale. Nessuno ce l’aveva mai detto, nessuno ci aveva avvertito. Cosí come, prima del 2008, nessuno aveva lanciato l’allarme su quei mutui. Pronto, dietro l'angolo, si aggira lo spettro della speculazione finanziaria. Obbiettivo: attaccare la finanza pubblica, nervo scoperto di molti stati europei. Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia e Grecia finiscono nel mirino.
La forza militare non conta piú. Hedge fund ed agenzie di rating prendono il posto di panzer e baionette. A determinare ascesa e caduta di uno stato è dunque la salute dei suoi conti. Agenzie come Standard&Poor’s che, nonostante i clamorosi errori di valutazione nei confronti di Parmalat e Lehman Brothers alla vigilia del loro colossale crack, riesce ancora ad ottenere credibilitá internazionale. Una credibilitá che le permette di giudicare il debito pubblico di Atene come “junk”, spazzatura, facendo cosí piombare i mercati nel panico. Generando episodi di distruzione e morte, di guerriglia urbana. La scorsa primavera, sono in tre a morire soffocati all’interno di una banca a causa di un incendio provocato da alcuni manifestanti ad Atene. Per non parlare di Moody’s, altra agenzia di rating, che nello stesso periodo ha messo sotto accusa i conti pubblici di altri paesi europei, Italia inclusa. Una valutazione, quella di Moody’s che costerá alle borse del continente ben 183 miliardi di euro di capitalizzazione in un solo giorno. Si tratta di veri e propri attacchi da parte di soggetti in conflitto d’interesse, visto che nel capitale di molte agenzie di rating figurano quotazioni in aziende i cui utili dipendono dalle loro valutazioni di mercato.
E sono proprio i conflitti di interesse che stanno affossando gli equilibri di stati, regioni, forse dell'intero sistema internazionale. Pensiamo all'Italia e a dove ci ha portato il problema dei numerosi conflitti di interessi.
Insomma tra personaggi politici ed agenzie di rating, siamo messi molto male. Adesso, attendiamo ottobre ed una nuova puntata della crisi economica.
AV